COMUNICATO STAMPA
Dichiarazione di voto contraria di Claudio Grassi alla Direzione PRC del 10 febbraio 2006
Avanzo due critiche, una di metodo, l’altra di merito.
Sul metodo: per quanto riguarda il Partito, noi oggi votiamo un documento programmatico senza averlo potuto leggere e senza che vi sia stato un coinvolgimento del Partito sul territorio. Ritengo la scelta che il Partito sta facendo talmente importante per il suo futuro (per Rifondazione Comunista entrare a pieno titolo in un governo nazionale non è certo un fatto di ordinaria amministrazione: è la prima volta nella sua storia) che si sarebbe dovuta attivare la discussione più ampia e partecipata possibile.
Ancor più criticabile, considerate le promesse fatte all’inizio di questo percorso, è stato il mancato coinvolgimento dei movimenti e del “popolo della sinistra” nella costruzione del programma. Ricordo che, al Congresso di Venezia, la necessità della più ampia partecipazione all’elaborazione del programma fu l’argomento strumentalmente opposto a chi chiedeva di porre alcune condizioni programmatiche minime, i cosiddetti “paletti”. Si disse che una richiesta di alcuni punti programmatici avrebbe portato ad una trattativa ristretta tra segreterie di partiti, mentre invece, attraverso un processo di coinvolgimento e di partecipazione dei movimenti, si sarebbe potuto innervare tutto il programma di contenuti avanzati.
Si assicurò poi anche che i punti controversi sarebbero stati posti al vaglio di una consultazione popolare. Si fece precisamente l’esempio della legge 30: “nell’Unione – si sostenne – c’è chi vuole abrogarla e chi vuole solo modificarla: in un caso come questo si andrà a una consultazione (una sorta di primarie sul programma), il cui esito sarà vincolante per tutti”. Così come era stato detto che il percorso programmatico si sarebbe concluso con grandi assemblee regionali composte per un terzo dai partiti dell’Unione, un terzo dai movimenti, un terzo dai rappresentanti delle istituzioni.
Niente di tutto questo è avvenuto. Anzi è avvenuto esattamente il contrario: una discussione tra i segretari di partito dell’Unione per dirimere i punti controversi, come ha dimostrato anche l’incontro ultimo di giovedì scorso.
Ancora a proposito della mancata connessione tra Unione e movimenti in sede di elaborazione del programma, vorrei sottolineare alcuni limiti:
– la Fiom aveva chiesto diverse cose all’Unione, ma su una ha insistito con particolare forza anche nel recente Congresso: la legge per la democrazia nei luoghi di lavoro: l’idea è che i contratti debbono essere validati da un voto vincolante dei lavoratori interessati. Nonostante tale innovazione sarebbe, come si dice, “a costo zero” il programma, nella sostanza, non la contempla;
– nel programma non c’è nemmeno la contrarietà al Tav e alla Bolkestein, né vi è un progetto concreto di riduzione delle spese militari: anzi su quest’ultima questione, a Porta a Porta Prodi si è detto contento del contratto stretto dall’Italia con il governo Usa per la vendita di elicotteri militari Agusta.
Per quanto ci riguarda come Partito, ma più in generale come sinistra di alternativa che si era riconosciuta in questi anni nelle lotte contro il liberismo e contro la guerra, l’errore commesso è stato quello di aver messo, come si dice, “il carro davanti ai buoi”, dando per scontato l’ingresso nell’Unione e persino nel governo ancor prima di aver avviato la discussione programmatica.
Bisognava fare esattamente il contrario, secondo quello che è sempre stato l’approccio di Rifondazione Comunista: prima si discute e si costruisce il programma, poi – alla luce degli esiti concreti del confronto – si valuta se vi sono le condizioni per concludere un accordo (in questo caso, per entrare nel governo).
Seguendo la strada che si è prescelta, ci si è preclusa la possibilità di porre condizioni. E proprio in conseguenza di ciò il confronto porgrammatico ha visto progressivamente sorgere crescenti difficoltà persino in relazione agli obiettivi minimi che si davano per scontati e che erano stati inseriti anche nelle Tesi della prima mozione al Congresso. Penso in particolare all’abrogazione delle tre peggiori leggi di Berlusconi (la legge 30, la Moratti e la Bossi-Fini). Come abbiamo visto, l’abrogazione integrale di queste leggi non è stata ottenuta e, a Porta a Porta, Prodi ha affermato seccamente che le parziali modifiche alla legge 30 che l’Unione intende apportare ci riporteranno al Pacchetto Treu, legge che egli considera positiva e che rivendica come propria creatura.
Tutto questo avviene in una cornice di scelte di fondo in politica estera e in politica economica che non mi sembrano affatto rassicuranti.
Sulla politica estera, l’impegno a rispettare i deliberati Onu e i vincoli posti dall’Alleanza Atlantica e dall’Unione Europea mi pare assai inquietante. Secondo questa logica avremmo dovuto accettare la guerra in Kosovo o in Afghanistan. Gli scenari che abbiamo di fronte rispetto all’Iran, alla Siria e alle scelte riconfermate anche dall’ultimo discorso di Bush – cioè la volontà degli Stati Uniti di risolvere le crisi internazionali attraverso la guerra – avrebbero dovuto indurci ad una presa di distanze da questa decisione.
Per quanto riguarda il ritiro dei militari italiani dall’Iraq, resta una formulazione che legittima il governo iracheno ed evoca un inesistente processo di transizione democratica di quel Paese. L’attuale governo iracheno è stato insediato in un Paese in guerra, vittima di una aggressione criminale e di una feroce occupazione militare tuttora in corso; ed è il frutto di elezioni che si possono definire in tutti i modi fuorché libere. Dovrebbe bastare il fatto che i risultati sono stati resi noti dopo 27 giorni.
Sulla politica economica non mi pare emergano scelte forti – come sarebbe assolutamente necessario vista la grave situazione in cui versa il Paese – di inversione di tendenza rispetto agli anni passati; in particolare sulle privatizzazioni e sulle liberalizzazioni. Viene inoltre confermato l’impegno a rispettare i vincoli europei del Patto di Stabilità. Anche la proposta, lanciata da Prodi a Porta a Porta, di riduzione del costo del lavoro, di cui ad oggi non si conoscono le modalità di realizzazione, da un punto di vista concreto (ma anche sul piano culturale) rappresenta un cedimento all’offensiva padronale che da anni individua nel “costo del lavoro troppo elevato”, oltre che nella “scarsa flessibilità”, l’ostacolo principale per il rilancio dell’economia. Di fronte a questa tesi, noi abbiamo sempre risposto – fin dai tempi dell’abolizione della scala mobile – che non era vero e che altre dovevano essere le strade per rilanciare l’economia.
So benissimo che nel programma ci sono anche tante cose positive e che senza il lavoro nostro e di altri il testo sarebbe stato assai peggiore. Lungi da me non apprezzare anche il più parziale dei risultati ottenuti. Dico semplicemente che questo livello di intesa non mi pare sufficiente per giustificare un nostro ingresso nel governo. Faccio notare, per esempio, che i comunisti indiani dopo una discussione analoga alla nostra avvenuta lo scorso anno e in presenza di un programma rispetto al quale avevano ottenuto anche loro punti molto importanti, hanno deciso tuttavia l’appoggio esterno. Ritengo che anche per noi sarebbe stata preferibile questa scelta.
Insomma, a chi dice: “perché, visto che abbiamo questa opportunità di entrare nel governo, non la cogliamo?” rispondo dicendo che non ritengo quello raggiunto un programma riformatore, in grado di segnare una netta discontinuità non solo rispetto a Berlusconi, ma anche rispetto alle politiche moderate del centrosinistra. Noi ci troveremo quindi, nel corso della legislatura, nella difficoltà di avallare politiche che ci allontanano dalla nostra gente oppure di votare contro prestando il fianco all’accusa di far tornare di nuovo Berlusconi.
Queste sono le mie preoccupazioni che spero saranno infondate. Ora dobbiamo lavorare per un risultato elettorale positivo, per battere Berlusconi e per far avanzare il nostro Partito, per ottenere tutto quello che di positivo c’è nel Programma.
Sarà importantissimo lavorare affinché nel corso della legislatura si sviluppino forti movimenti nel paese che aprano contraddizioni nell’Unione e ne condizionino le scelte.
Una breve considerazione al di fuori dall’ordine del giorno di oggi:
segnalo che in alcune regioni si stanno completando le liste in modo grave. Non solo tutte le teste di lista in quelle regioni sono della maggioranza, ma anche nelle cosiddette “seconde file” non viene dato spazio alla minoranza. Siamo di fronte a un fenomeno di bulimia da parte della maggioranza veramente grave e dannoso per tutto il Partito.