Detto fra noi

Romano Prodi ha lasciato il congresso di Rimini, rassicurato sul sostegno da parte dell”unica base elettorale mobilitata’ che può avere, non solo lui ma tutto il centrosinistra, visto il radicamento sociale che il sindacato può ancora vantare, invidiabile per i più leggeri partiti dell’epoca attuale. Ma una volta preso l’impegno con l’Unione, la lunga notte che ha preceduto l’ultima giornata del XV congresso, si è protratta in infinite riscritture per produrre un documento finale che rimarca non pochi punti di «differenza» dal programma della coalizione guidata da Prodi, sui punti cruciali del lavoro e della precarietà. Il cambiamento su questi «contenuti», una volta che il sindacato torna a discutere fra sé e sé nell’ultimo scorcio congressuale, trapela anche nelle conclusioni di Guglielmo Epifani – fatto salvo il tema della guerra, saldissimo dall’inizio alla fine per la Cgil, che non trova se o ma capaci di attenuare la ferma richiesta: «ritiro dall’Iraq».

Guglielmo Epifani mantiene costante solo un punto simbolico rilevante, che ha già garantito in presenza di Prodi: il mantenimento della promessa di quel «patto di legislatura» offerto a un eventuale e sperato nuovo governo dell’Unione, che costerà al segretario della Cgil un segnale di avvertimento dei delegati nel voto finale alla sua relazione: il non raggiungimento dell’unanimità.Centinaia i sì, ma per quel punto non digerito ci sono 27 voti contrari e 48 astenuti (al congresso precedente si era contato 1 solo voto di dissenso); così come a disturbare l’unanimità c’è anche l’emendamento proposto dalla Fiom per «l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori» (bocciato dalla presidenza, ottiene il 35% dei consensi).

Ma sulla questione «precarietà» la Cgil, non più sotto gli occhi dell’Unione, pratica un’ altra strada, nell’abilità consumata di un doppio linguaggio. Ritorna infatti l’affermazione sulla necessità di «cancellare la legge 30» tout court, che introducendo i lavori Epifani davanti a Prodi aveva edulcorato; ritorna la pretesa che devono costare «di più», sia per il «salario» che per i «contributi», tutti i lavori a termine rispetto a quelli stabili (a differenza di quanto recita il «programma» dell’Unione).

E esce dal silenzio, che aveva scelto la relazione introduttiva, la «necessità» di riconoscere la distinzione tra prestazioni di lavoro realmente «autonome», e invece quelle nascostamente ma evidentemente «dipendenti» – oggi confuse nel mare grigio del lavoro parasubordinato: con la richiesta esplicita di cambiare l’articolo 2094 del codice civile.

Alla fine c’è anche un’affermazione netta sui contratti: quelli nazionali devono «aumentare» il potere d’acquisto. E una cautela diffidente, quanto meno nella posizione di partenza per i rapporti con gli imprenditori, rispetto alla «nuova» Confindustria di Montezemolo, della quale si dice che, pur diversa dalla vecchia, terribile, di D’Amato, non pare però propensa a rimettere in discussione alcun «privilegio». Anche sulle «privatizzazioni», care a Prodi, i distinguo non mancano.

Quanto alla garanzia della «autonomia» del sindacato rispetto a un futuro governo non «avverso», con la rivendicazione del «nostro programma diverso» da quello stilato dall’Unione, l’unica cartina di tornasole sarà la prova dei fatti, lo scioglimento, in un senso o nell’altro – di fronte ai conflitti sociali – del doppio linguaggio prudentemente articolato a Rimini da Epifani, con Prodi, e poi, viceversa, con i suoi. Resta il commento scanzonato di un delegato, a chiosa di questo XV congresso della Cgil alla vigilia del 9 aprile: «E’ iniziato con una posizione di centro, è finito in uno sbocco di centrosinistra» (il riferimento, naturalmente è ai contenuti, alla cosa, non al nome degli schieramenti elettorali)