Denunciò Abu Ghraib. Ora il soldato Darby è un traditore della patria

Il soldato Joe Darby è tornato dall’ Iraq ma non a casa. «Sono stato in città solo due volte, per un matrimonio e per il funerale di mia madre». La vita di Darby detto Darb è cambiata una sera del gennaio 2004, nella prigione di Abu Ghraib, quando ha messo un cd di fotografie nel suo computer. «Non sono un boy scout. Onestamente, all’ inizio mi sono messo a ridere. “E questo che cazzo è?”. Una piramide di culi». Il cd gliel’ ha dato Charles Graner, uno che adesso sta scontando una decina di anni di galera. Darb gli ha chiesto se aveva delle immagini di Hilla, un posto a sud di Bagdad dove sono stati prima di arrivare ad Abu Ghraib. Voleva integrare il suo album iracheno con qualche altro scatto. E invece Darby si imbatte in quelle foto che poi faranno il giro del mondo. «Quelle dove i prigionieri vengono picchiati, quella dove ce ne sono due nudi, uno inginocchiato davanti all’ altro. Non riuscivo a non pensarci». Darb ci pensa tre giorni e poi lascia una copia del cd a un agente della Criminal Investigation Division. Dopo mezz’ ora l’ agente Pieron gli fa visita. «E questa roba da dove viene?». Darby resiste mezz’ ora. Poi racconta la verità. Il giorno dopo torna per una dichiarazione giurata. Mentre parla sente delle voci che si avvicinano. Sono Graner, Ambuhl, England. Sono alcuni dei commilitoni che compaiono nelle foto (England è quella con l’ iracheno nudo al guinzaglio). Darb è allarmato. Possono scoprirlo. Gli investigatori «andavano troppo veloci», racconterà più tardi. O forse volevano metterlo in difficoltà. «Ehi, lui è ancora qui», sibila l’ agente Pieron ai compagni che stanno per interrogare i sospetti. Lo fanno uscire con dei tappeti sulla testa, mentre Graner e gli altri vengono messi faccia al muro. Voleva restare anonimo, Darb. «So come funzionano queste cose. Ti prendono per un traditore». Sarà il ministro della Difesa Rumsfeld, un mese dopo, a rivelare il suo nome mentre parla a una commissione di inchiesta del Parlamento. Darby e la sua unità sono stati trasferiti a Camp Anaconda. E’ sera in Iraq. «Stavo seduto con una decina di compagni in sala mensa. Proprio vicino a me c’ era la televisione. Ed ecco che Rumsfeld pronuncia il mio fottuto nome». Nessuno del suo plotone sapeva la storia. «Oh my God». Darby pianta la cena a metà, si mette nel suo cubicolo. Darby non è un eroe. Non ha neppure il fisico da Marlboro Man. E’ un ragazzone alto un metro e novanta, con la testa rasata. Voleva restare anonimo. Il suo diario, pubblicato in America su GQ, è straordinario. «Non mi pento di quello che ho fatto, era la cosa giusta da fare». Sta pagando un prezzo alto. La sua piccola città, nel Maryland, lo considera un traditore. «Capisco la mentalità: lavorano tutti per l’ esercito». Quando Rumsfeld fa il suo nome, comincia l’ inferno. Soprattutto per la moglie. «Nessuno le parlava più, i fotografi facevano la guardia alla casa». Joe è in Iraq, dorme con una pistola sotto il cuscino per paura che qualcuno gli voglia fare la pelle. Finché un giorno chiede di partire. Lascia la base di notte, sbarca negli Stati Uniti nella base di Dover, dove arrivano i cadaveri dei militari uccisi. Lo portano in una casa dove incontra la moglie. Piangono, si baciano. C’ è un ufficiale della sua unità, il maggiore Chung. Escono sotto il portico. «Cosa pensi di fare adesso?», gli chiede Chung. «Voglio soltanto tornare casa», dice Darby. «Ragazzo, tu non puoi andare a casa. Probabilmente non potrai più tornarci». Non ha rimpianti, Darby. Ha cambiato città. Lavora ancora per l’ esercito. Fa il meccanico. L’ ha fatto negli ultimi due anni. Alla fine di agosto sono dieci anni in divisa. Lascia l’ esercito. Lavorerà in una ditta che produce apparecchi elettromedicali. Anche nella sua famiglia, dice, c’ è chi lo considera un bastardo traditore. «Uno dei miei zii ha convinto mio fratello a non parlarmi più». Darby non è un boy scout. Quando arrivò ad Abu Ghraib, ottobre 2004, racconta che i prigionieri erano già umiliati quotidianamente. Racconta che una notte arriva un elicottero. Due tizi portano un iracheno. Si chiudono in una stanza. Sono due agenti Cia, probabilmente. Escono dopo due ore. L’ iracheno è morto. «Ripulite tutto, noi non siamo stati qui, buona giornata». Quell’ iracheno è in una delle foto che hanno fatto il giro del mondo: è in mezzo al ghiaccio, con Graner e la Harman che posano sorridenti. Joe Darby rifarebbe quello che ha fatto. Graner e compagnia non gli sono mai piaciuti. Ma quell’ iracheno nel ghiaccio, «non l’ hanno ucciso loro».