«Sarà una delle nostre grandi priorità», ha dichiarato il deputato democratico di New York Jerrold Nadler, presidente della sottocommissione giudiziaria Costituzione e Diritti civili, nell’ annunciare al Congresso la determinazione del suo partito ad emendare al più presto la Costituzione Usa: un evento verificatosi soltanto 27 volte in oltre due secoli di storia. L’ emendamento cui si riferisce è l’ Equal Rights Amendment (o «Era») simbolo delle aspirazioni e delle lotte femministe degli anni Settanta. Un breve documento di 52 parole, con un concetto centrale assai chiaro: «L’ eguaglianza di diritti, secondo la legge, non sarà negata o ridotta dagli Stati Uniti o da alcuno dei suoi stati in base al sesso». La discriminazione sessuale, sempre secondo l’ «Era», dovrà essere trattata come un crimine dai tribunali, alla stregua della discriminazione razziale. Dietro questa idea all’ apparenza inoppugnabile, mettono in guardia gli sponsor dell’ emendamento, si nasconde una scomoda verità. «La maggior parte degli americani sono convinti che ciò sia già nella nostra Costituzione», spiega Lindsley Smith, deputata democratica dell’ Arkansas. «Il tentativo di introdurre questo lapalissiano concetto nella sacra carta dei Padri Fondatori risale addirittura al 1923 – prosegue -. Anche se è stato il femminismo a dargli una spinta, a partire dagli anni 60». Nel 1972 l’ emendamento fu approvato dai due rami del Congresso ma ottenne la ratifica di soltanto 35 stati dell’ Unione, invece dei 38 (i tre quarti) richiesti dalla legge per apportare un cambiamento alla Costituzione. Da allora la risoluzione ha languito negli scaffali impolverati di Capitol Hill finché il nuovo Congresso a maggioranza democratica non l’ ha riesumata, convinto di avere i numeri per vararla. Con 71 donne nella Camera dei Rappresentanti, (tra cui la battagliera speaker Nancy Pelosi) e 16 al Senato, un record, i democratici sono sicuri di farcela. «Le elezioni hanno sempre delle conseguenze – mette in guardia Barbara Boxer, la popolare senatrice californiana imparentata a Hillary Clinton – e queste oggi sono buone per noi donne. Stiamo ribaltando il Paese. Passo dopo passo, verso una direzione più progressista». A darle ragione è l’ entusiastico tam tam creato sul Web dai gruppi femministi da una parte all’ altra del Paese. «Dal Maine al Texas, le donne ci chiedono di non mollare», spiega Carolyn McCarthy, deputata di Long Island. Secondo la «National Organization for Women», la potente lobby femminista di Washington, la misura oggi è più rilevante che mai. «Nonostante gli enormi progressi raggiunti, le donne oggi in America continuano a soffrire la discriminazione in ogni settore pubblico e privato, da quando nascono a quando muoiono», punta il dito il gruppo nel suo sito web. Ma la loro lotta si preannuncia tutt’ altro che semplice. Negli stati tradizionalmente repubblicani e conservatori del Sud i parlamenti statali stanno già organizzandosi per boicottare l’ emendamento. Se 25 anni fa erano riusciti nell’ intento agitando lo spauracchio di toilette unisex uomini-donne e leva militare obbligatoria per le mamme, oggi le loro argomentazioni sono altre. «Se verrà approvato, metterà a repentaglio i valori famigliari – teorizza Phyllis Schlafly, deputata repubblicana dell’ Arkansas -, spianando la strada all’ aborto, ai matrimoni gay e agli asili obbligatori». A dar loro una mano è il popolarissimo e controverso «talk show host» di destra Rush Limbaugh, che ha lanciato una vera e propria crociata per boicottarlo. «Quelle pupe obsolete vivono nel passato – urla tutti i giorni alla radio -. L’ America oggi non approverà mai una tale castroneria». E a dare speranza ai nemici dell’ «Era» è un primo sondaggio, svolto a caldo ieri dal quotidiano Usa Today dove il 56% degli interpellati si sono dichiarati contro l’ emendamento, 41% a favore e 3% indecisi.