«Dateci una data per il ritiro»

«Apertura» degli Ulema: Trattative in cambio di un calendario sulla fine dell’occupazione

Un preciso calendario per il ritiro delle truppe straniere dall’Iraq potrebbe portare all’avvio di un dialogo con la comunità sunnita e ad un appello dei leader religiosi alla resistenza perché sospenda le sue operazioni contro gli eserciti occupanti. L’offerta di dialogo, accompagnata dalla riaffermazione della legittimità della resistenza sino a quando il paese sarà occupato, è stata lanciata due giorni fa da Sheik Hareth al Dhari, uno dei massimi esponenti dell’Associazione degli Ulema musulmani – con sede nella nota moschea di Um al Khoura, alla periferia di Baghdad – che raggruppa gli esponenti di circa 3.000 moschee sunnite. «Chiediamo a tutti gli uomini saggi in America – ha sostenuto al Dhari – di consigliare all’Amministrazione di lasciare l’Iraq risparmiando tanto sangue e tante sofferenze agli iracheni e agli americani». La presa di posizione di una delle massime autorità religiose ma anche politiche sunnite come Hareth al Dhari – suo nonno Mahmoud, avrebbe dato vita alla parte sunnita della rivolta del 1920 uccidendo un ufficiale britannico a Falluja e lo stesso religioso sunnita è stato accusato dagli Usa di fomentare la resistenza – rientra nelle prime prove di dialogo tra sunniti anti-occupazione e occupanti, all’indomani delle elezioni farsa del 30 gennaio dalle quali questa importante comunità e tutti i gruppi che in qualche modo sostengono la resistenza sono stati praticamente esclusi. L’Associazione degli Ulema, a differenza delle due pattuglie – in tutto 17 deputati – sunnite presenti nel parlamento (quella dell’ex ministro degli esteri Adnan Pachachi e quella dei monarchici di Sherif Hussein, oltre a deputati eletti nelle liste governative) considera del tutto illegittimo il governo in via di formazione nonché lo stesso processo costituzionale organizzato dagli Usa ma si è mostrata possibilista sul non avversare eventuali candidature sunnite nel governo – «Non ci opporremo a coloro che vogliono entrarvi per servire il paese e farlo uscire dalla misera condizione nella quale si trova», ha sostenuto al Dhari – a patto che si tratti di ministeri chiave come gli interni o la difesa. In caso di fissazione di una data per il ritiro delle truppe straniere l’Associazione degli Ulema ha anche fatto capire che non si opporrebbe ad una partecipazione della comunità sunnita alle prossime elezioni previste per la fine dell’anno (se mai avranno luogo). In altri termini un possibile compromesso – al quale ha accennato alcuni giorni fa uno sheik piuttosto radicale Ali al Mashadani, della moschea di Ibn Taymiyya a Baghdad – potrebbe vedere da qui al giorno del ritiro vero e proprio, tra uno o due anni, uno spostamento delle truppe Usa nelle loro basi, un cessate il fuoco e la possibilità per i sunniti di prendere parte alla vita politico-istituzionale dell’Iraq dalla quale sono stati esclusi dall’aprile del 2003 a favore dell’asse filo-Usa sciita-curdo. Queste proposte sono state anche discusse in una serie di incontri tra un comitato di cinque membri, tra i quali Harith al Rubaidi, a sua volta membro dell’Associazione degli Ulema, in rappresentanza di una nuova coalizione sunnita la quale avrebbe ricevuto una sorta di via libera da alcuni settori della resistenza legati ad ambienti salafiti e dell’ ex partito Baath. Si parla anche di alcuni incontri tra alcuni esponenti della resistenza e gli occupanti avvenuti nella “green zone”.

Tra le varie iniziative che vanno in questa direzione – alcune genuine, altre assai meno ma tutte interessanti – vi è anche l’appello di 64 predicatori sunniti per la costruzione di forze di sicurezza «nazionali» e non legate a questa o quella comunità etnica e religiosa, in grado di «di difendere l’Iraq e gli iracheni». In questo caso i sunniti dovrebbero arruolarsi in massa nelle nuove forze di difesa «altrimenti potrebbero essere infiltrate da elementi negativi». Un chiaro riferimento all’attuale composizione delle misere forze di sicurezza irachene che, dopo lo scioglimento dell’esercito e la cacciata di quasi tutti gli ufficiali sunniti sono ora composte in gran parte da miliziani separatisti curdi e da sciiti dei partiti filo-iraniani. Parallelamente a questi interessanti sviluppi sul fronte sunnita anti-occupazione, nelle ultime ore è tornato sulla scena il leader sciita radicale Moqtada al Sadr. Questi, dopo aver salvato la vita e il suo movimento dall’attacco Usa di agosto, ora può disporre su circa 25 deputati presentatisi come «indipendenti» in varie liste (il movimento ufficialmente aveva scelto di boicottarle), che hanno dato vita ad un proprio gruppo parlamentare. Non solo. Il leader sciita radicale ha lanciato ieri un appello al popolo iracheno perché scenda in piazza il prossimo nove aprile nella centrale piazza Firdous (davanti al Palestine Hotel) per chiedere la fine dell’occupazione e, respingendo il tentativo Usa di arrivare ad uno scontro etnico e religioso, «concentrarsi su un unico nemico, le forze occupanti».