Damiano: «Della 30 terremo le parti valide»

La legge 30 non verrà abrogata, il governo procederà per modifiche a tappe, di cui per il momento si vedono solo i primi passi: cancellare, come da tempo ribadisce il ministro del lavoro Cesare Damiano, il job on call e lo staff leasing, forme quasi per nulla utilizzate dalle aziende. L’intenzione è stata ripetuta dallo stesso ministro in audizione alla Commissione lavoro della Camera, dove Damiano ha spiegato: «Ciò che va della legge 30 lo applicheremo. Ciò che non vale, ed è tanto, lo cancelleremo». Ciò che va, si può arguire, è per esempio quanto contenuto nella recente circolare dei call center, dove si distingue tra cocoprò e lavoratori subordinati proprio in applicazione della legge 30. Come dire: una prima parte della 30 – in salsa governo dell’Unione – è già metabolizzata, e si dispiegherà tra settembre e dicembre prossimo, quando gli ispettori inviati dal ministero dovranno prima «informare» le imprese e poi sanzionare eventuali abusi.
Dall’altro lato, ci spiega il capogruppo di Rifondazione alla commissione lavoro, Augusto Rocchi, «il ministro si è impegnato a inserire nella prossima finanziaria una delega per la modifica generale della legislazione sul lavoro: e non si parla solo della legge 30, ma anche del pacchetto Treu e dei contratti a termine. Ma è chiaramente un processo che prende più tempo». Si conferma dunque l’intenzione dei «due tempi», anche se il secondo è per il momento un impegno privo di contenuti, diciamo pure «fumoso»: non a caso, la settimana scorsa, i movimenti riuniti nell’assemblea «Stop precarietà ora», dalla Fiom alla Fp e Flc Cgil, dai Cobas all’Arci, dal Prc alla sinistra Ds, hanno chiesto un «segnale chiaro», ovvero l’abrogazione della 30 – in modo da dimostrare che si vuole davvero voltare pagina. E si annuncia una manifestazione in ottobre, quanto mai necessaria per pungolare l’approccio super soft scelto dal governo.
Comunque, l’esecutivo vuole agire anche sul cuneo fiscale, e la stessa finanziaria conterrà i 5 punti, con criterio «selettivo»: premierà le imprese solo sullo stock dei tempi indeterminati; per i lavoratori, invece, il premio sarà indirizzato a tutti, non toccando i contributi ma solo la parte fiscale. Sempre con la finanziaria, verrà innalzato al 20% il versamento contributivo dei cocoprò (molto più basso del 33% dei dipendenti, mentre il programma dell’Unione dice che «il lavoro flessibile non deve costare meno dello stabile»). L’inflazione programmata è fissata al 2%, nel decreto liberalizzazioni verrà inserito il «pacchetto sicurezza» sul lavoro, e in finanziaria la delega a scrivere il Testo unico. Il Prc apprezza in fiducia: «Si dimostra la volontà di applicare il programma dell’Unione – dice Rocchi – E’ chiaro che alcuni punti, a partire dal Dpef e dalla precarietà, restano aperti e l’apporto delle mobilitazioni previste in ottobre sarà fondamentale».
In mattinata il ministro Damiano aveva partecipato a un convegno di Federmeccanica sul rapporto tra legge e contratto, cui hanno partecipato le imprese e Fim, Fiom, Uilm. A difendere a spada tratta la legge 30, il decreto 66 sugli orari di lavoro e il 368 sui contratti a termine è rimasto solo l’ex sottosegretario Sacconi, mentre Gianni Rinaldini (Fiom), Giorgio Caprioli (Fim) e Tonino Regazzi (Uilm), hanno notato il fallimento delle leggi varate dal governo Berlusconi, in quanto quasi inapplicate nei contratti. Roberto Santarelli, direttore di Federmeccanica, ha ammesso che «di quelle leggi nel contratto dei meccanici non c’è quasi traccia». Colpa di una concertazione fallita da Berlusconi, e che invece Damiano vuole rilanciare: «Il modello del luglio ’93 resta una traccia importante». Meno convinto Rinaldini: «Era un vero e proprio patto sociale, fatto in un momento particolare, ma oggi non è riproponibile: si possono fare contratti anche fuori da un patto sociale di quel tipo, lasciando la centralità al piano nazionale, e rafforzando quello aziendale, dove si parla delle condizioni concrete del lavoro». Per Caprioli può essere utile la «decontribuzione degli aumenti del secondo livello, per incentivare la contrattazione». Ha chiuso il presidente di Federmeccanica Massimo Calearo, secondo cui «nell’epoca della globalizzazione non si può dire che il costo del lavoro non sia un problema», chiedendo «flessibilità oraria» e la riduzione del contratto nazionale a una pura «cornice». Ma su questi punti (per fortuna) i sindacati sembrano non sentirci.