GERUSALEMME—Le vacanze sono finite, Tony Blair si è messo al lavoro: domenica è arrivato in Medio Oriente,hagià visto il rèsaudita.l’e-giziano Mubarak e oggi incontra gli israeliani. L’inviato del Quartetto deve lavorare alla conferenza di pace che Bush vuole organizzare a novembre. Ma è ancora tutto da inventare, da organizzare, per evitare che il meeting Americano si trasformi in un boomerang pauroso: convocato per trovare una soluzione di pace, se non porterà a nulla creerà soltanto nuovo caos. E in Medio Oriente la confusione si chiama terrorismo.
Prima di vedere Olmert e la Livni, stamane anche il ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema incontrerà Blair: per capire quali sono le sue idee, per chiedergli di accelerare l’organizzazione della conferenza. Ieri D’Alema ha trascorso l’intera giornata in Egitto: Roma e il Cairo sono d’accordo, se la conferenza di pace fallisce «c’è il rischio serio che i guai in tutta la regione possano aumentare». D’Alema dice che «dopo aver sollevato tante speranze, se non segue un messaggio concreto c’è il rischio di creareilcaos».Tanto da invitare anche i ministri della Lega araba a fare un passo verso Israele, per favorire il negoziato: l’Italia pensa all’apertura di un ufficio di rappresentanza della Lega araba a TelAviv, un segnale per far capire che questo processo di pace ha come obiettivo anche la sicurezza complessiva di Israele, non solo l’accordo con i palestinesi. Il ministro degli Esteri ha confermato anche a Mubarak che l’Italia in Palestina punta, come tuttala Ue, su Abu Mazen; ma ha ribadito che «è necessaria una riconciliazione» tra i palestinesi, sostenendo che questa però sarà possibile solo quando Hamas avrà fatto marcia indietro sul golpe a Gaza.
L’Egitto, per bocca di AmrMous-sa e dei consiglieri di Mubarak, lancia un messaggio a Bush: «I preparativi per la riunione di novembre hanno bisogno di maggiore energia, c’è bisogno di un’agenda, metodi, basi chiare per ottenere risultati concreti». Le cose da decidere sono molte: innanzitutto chi parteciperà. D’Alema cerca spazio al tavolo di Washington: l’Italia chiede che partecipi il G8, assieme al Quartetto (Usa, Russia, Uè e Onu). In questo modo sarebbero incluse Roma, Londra, Parigi e Berlino, che altrimenti sarebbero rappresentate solo da Solana. Qualcuno suggerisce dinonlasciarefuorila Cina, e allora si potrebbe pensare al «G8+P5», in cui la seconda sigla sta per i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Gli arabi invece sono interessati a far partecipare anche un paese come la Siria.che se rimanesse fuori avrebbe le mani libere per sabotare il processo.
Ma il vero scontro è su cosa debba essere questa conferenza. Che tipo di accordo dovrà preparare? Il presidente palestinese Abu Mazen sa che non potrà avere un piano di pace dettagliato (è troppo presto), ma allora chiede che si lavori a un «frame work agreement on final status», un accordo-quadro che poi dovrà essere negoziato nei dettagli dalle parti, ma dal quale si capisca come nascerà il futuro Stato di Palestina. Gli israeliani temono come pericolosissimaun’ideadelgenere. Olmert preferisce una dichiarazione di principi che lasci il tempo di negoziare più tardi dettagli decisivi come lo status di Gerusalemme, il ritorno dei profughi, le garanzie di sicurezza per Israele stessa. La paura di Israele è assai concreta: come facciamo a negoziare nei dettagli la creazione di uno Stato se non siamo sicuri che quello Stato non finirà nelle mani di Hamas, come è successo a Gaza?