«Tenderei ad escludere che il presidente Bush o il Segretario generale della Nato volessero sferzare l’Italia. Mi sembra una polemica giornalistica dovuta ad un certo masochismo nazionale secondo cui ci piace essere sferzati». D’Alema fa il D’Alema e appena sbarcato dal vertice di Riga conferma la rotta del governo italiano sul pantano afghano intervenendo al «question time» alla camera. «Ritengo – risponde D’Alema a un’interrogazione dell’Italia dei valori – che la presenza militare italiana in Afghanistan debba essere mantenuta. La mia opinione è che la comunità internazionale non può lasciare l’Afghanistan al controllo dei talebani anche se questo richiederà una presenza significativa e per un tempo non breve in quel paese».
L’Italia del centrosinistra non si ritirerà né ridimensionerà il suo coinvolgimento bellico ma affiancherà all’iniziativa militare l’«l’impegno civile, economico ed umanitario di tutta la comunità internazionale». Per il ministro degli Esteri a lettura della missione Isaf è senza sfumature e non distante da quelle date a suo tempo dal centrodestra sull’Iraq: «È un errore considerare l’Afghanistan una missione della Nato. La Nato svolge un’azione militare sotto mandato delle Nazioni unite ma la stabilizzazione dell’Afghanistan è una missione dell’intera comunità internazionale». Nessuna critica sul nuovo «concetto strategico» dell’Alleanza faticosamente messo alla prova proprio dalla missione Isaf e ratificato non senza dissidi al vertice di Riga.
Lasciando la Lettonia Romano Prodi conferma la posizione del nostro paese: «In Afghanistan l’obiettivo militare deve essere in una prospettiva politica e l’idea francese di creare un gruppo di contatto per quel paese può portare in seguito alla conferenza internazionale proposta dall’Italia». Le regole di ingaggio dei 2mila militari italiani attualmente necessari (il parlamento però ne ha autorizzati anche di più) dunque non cambiano. Il governo ha confermato l’impegno ad autorizzare su richiesta del comando Nato in brevissimo tempo il loro impiego (pare non a fini di combattimento) anche in vere e proprie «zone di guerra» come quelle nel Sud del paese.
Il crinale tra forma e sostanza in diplomazia è sempre scivoloso. Ma i maldipancia su Kabul non sono certo solo italiani. All’asse Usa, Canada Olanda l’asse europeo (Francia, Germania, Spagna e Italia) ha contrapposto sia impegni militari che politici.
Al suo primo (fortunatamente) conflitto armato dopo sessant’anni dalla nascita la Nato sta rischiando seriamente di perdere: sia sul campo che sulla prospettiva tutta politica di trasformarsi in un esercito globale anti-terrorismo.
Anche il nuovo congresso Usa non pare offrire molte sponde all’Europa: «Che ci piaccia o no l’Afghanistan è la cartina di tornasole per stabilire quanto efficace possa essere la Nato, i russi sono stati sconfitti, i britannici a loro tempo sono stati sconfitti: la Nato deve vincere e per farlo c’è bisogno di un pieno impegno del maggior numero possibile di membri», dice dopo un colloquio a Roma con D’Alema il deputato democratico Robert Wexler, futuro responsabile a Capitol Hill per i rapporti con l’Europa. Secondo il Los Angeles Times il Pentagono si prepara a chiedere per la finanziaria a stelle e strisce tra i 127 e i 150 miliardi di dollari di stanziamenti straordinari per la «lotta al terrorismo« in Iraq e in Afghanistan oltre ai 70 miliardi già allocati per il prossimo anno. Si tratterebbe della più ingente richiesta finanziaria della Difesa Usa dall’11 settembre e che supererebbe di gran lunga l’impegno speso per tutta la guerra del Vietnam: dal 1964 al 1975 furono spesi 663 miliardi di dollari (rivalutati). Finora il Congresso a guida repubblicana ha speso per le guerre di Bush 495 miliardi di dollari in 5 anni.