Chi non conosce gli yogurt Danone? Riempiono i supermercati. Meno si sa che Danone è una multinazionale del grande Antoine Riboud, amico di Mitterrand, che aveva sorretto agli inizi Libération e che produce anche i biscotti più consumati in Francia e gestisce acque minerali e altro: un’attività impressionante. Ha deciso di chiudere con i biscotti e la Francia si è inviperita. Ma come, se erano in crescita di vendite e profitti? Qualche anno fa era stata la Michelin a licenziare dopo aver pubblicato lusinghieri bilanci. Jospin appena diventato premier aveva dichiarato l’illegittimità morale di questo comportamento.
Stavolta l’hanno dichiarata i dipendenti e le regioni del nord, sede dei biscottifici, con scioperi, manifestazioni e un appello, insolito in Francia: boicottaggio di tutti i prodotti di quella marca. La sorpresa è stata grande. Già, perché Danone aveva predisposto il “piano sociale” che oltralpe obbliga alle grosse imprese che licenziano, senza essere in fallimento, a proporre un reintegro del personale in altri loro scomparti o facilità nell’assunzione in altre aziende della zona. In genere nessun “piano sociale” fila liscio, ma stavolta è stato un incendio.
Ma come, dice la proprietà, era un piano così bello! Ma come, replicano i dipendenti, fate fior di profitti e ci buttate fuori in cerca di impieghi che saranno o sottoimpieghi o lavori per cui non siamo qualificati? Ma come, dice il Pcf, che scottato dalle elezioni municipali riscopre il conflitto, si proibisca alle aziende in attivo di licenziare! Ma come, dice la Corte di cassazione, competition is competition, e se l’impresa vuole ristrutturare la legge non glielo può impedire. Ma come, dice il sindaco di Calais, non butterete i disoccupati addosso a me dopo tutte le agevolazioni che vi ho fatto. Beccatevi questa manifestazione che è stata grossa e di cui i partiti e sindacati si contendono la paternità.
Ma come, obietta Jospin, rieducato dall’Europa dopo l’uscita sulla Michelin, lo stato non può gestire l’economia, aumentiamo piuttosto l’indennità di uscita in modo da scoraggiare le imprese allo “sgrassamento”, come chiamano in Francia la riduzione del personale per rendere i capitali più snelli. Ma come, replicano i lavoratori, che se ne fa un licenziato sui quarant’anni con un decimo del salario per ogni anno di lavoro? Neanche per sogno. Ma via, la colpa è dell’immagine, dicono i guru, della pubblicità: Danone si presentava come un amico di famiglia, mamme felici e fantolini caprioleggianti. E poi ti mette il papà per strada! E’ logico che la gente salti in aria. Errore di comunicazione. Imparasse dal petroliere che aveva affittato la nave Erika e inondato le coste occidentali di petrolio, è andato in Tv tutto partecipe e commosso, ha spiegato che il petrolio era suo ma la nave no, e la Francia si è subito calmata.
Lo scenario sta ripetendosi per la Moulinex. Chi non ha in cucina un frullatore o un fornetto o un tritatutto Moulinex? Ma la Moulinex vuol chiudere le sue due fabbriche perché, dice, non ce la fanno. Ma come, replicano i dipendenti, chi non ce la fa? La Moulinex se l’è mangiata una multinazionale bresciana, la Elfi dei due operosi fratelli Nocivelli, che prima si è fatta la più grossa azienda francese di elettrodomestici, la Thompson, poi la tedesca Brandt, poi la Brandt ha ingoiato la Moulinex. Insomma chi è il nostro padrone? Dove perde, come, perché? E anche qui, parte dei sindaci delle regioni nel mirino. Una decisione analoga annuncia il D’Amato oltrealpino, Antoine Seilliere, che oltre a presiedere quella confindustria, ha la partecipazione più grossa nelle compagnie aeree Aom-Liberté, dal quale intende licenziare 3000 dipendenti. 570 Danone, 2900 solo in Francia i licenziati dalla Moulinex, più 3000 nell’aeronautica, per una settimana è un bell’andare.
E’ l’ultima cosa di cui aveva bisogno Jospin, che va incontro alle elezioni legislative e presidenziali del 2002 (anzi ha anticipato le seconde che sarebbero venute un po’ dopo). Nelle municipali ha perduto proprio fra le classi sociali meno forti. Ha un bel dire che l’occupazione è cresciuta, ed è vero, che le 35 ore il padronato ha dovuto ingoiarle, ed è vero, ma chi è licenziato non può aspettare che un’occupazione spunti non si sa dove, e comincia a pensare che la mano invisibile del mercato è invisibile solo per lui, perché il padrone se ne ingrassa e a lui tocca di dimagrire.
Ecco una guerra dell’epoca della globalizzazione. Il casino è grande, il governo è nei guai, e queste lotte non sono solo per il salario ma per il diritto di essere quel che si è invece che venir buttati via come un vecchio frigorifero. Se non è un diritto politico sociale questo, quale lo è? Difficile accusarle di economicismo e corporativismo. C’è in ballo dell’altro. Lo spirito di Seattle sembra uno di quei tuberi che si moltiplicano sotto terra e a primavera spuntano dove meno te li aspetti.