«Dal Dpef un disastro sociale»

Il Dpef targato Prodi allarma i sindacati. Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani si dice «insoddisfatto» dell’incontro avuto nella serata di ieri con il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa: «Ci hanno solo confermato l’entità della manovra pari a tre punti di pil. Non ci sono stati forniti molti approfondimenti. Sembra di cogliere un’accenutazione che non condividiamo nei confronti dei tagli alla spesa sociale, in modo particolare nel settore della previdenza, sanità ed enti locali». E Raffele Bonanni della Cisl dichiara di temere «la pratica degli atti unilaterali» nel confezionamento della manovra, «così come accaduto con Berlusconi». Il governo si è limitato a comunicare che l’inflazione programmata è data all’1,9%, sotto dunque la cifra tonda del 2% indicato dalle organizzazioni dei lavoratori come il limite minimo dal quale partire. Completa il quadro di questo difficile avvio delle relazioni il fatto che i sindacati sono stati ricevuti solo dopo l’incontro tra il presidente del Consiglio Romano Prodi e i vari ministeri. La tempistica, in questi casi, non è solo questione di forma e in molti la adducono ad esempio di una troppo debole volontà di concertare. Tanto più che dopo il vertice interministeriale Padoa Schioppa è anche salito al Quirinale «per illustrare le linee del documento».
La cifra di cui si parla è 35 miliardi di euro, ai quali devono essere aggiunti i 7 miliardi della manovrina bis approvata a fine giugno dal Consiglio dei ministri. Vanno poi considerate le maggiori entrate «una tantum», superiori alle previsioni, che sono state registrate dal fabbisogno di giugno: valgono 2,6 miliardi nel primo semestre e diventeranno 3,1 miliardi a fine anno. Sarebbero questi, nelle intenzioni del ministro dell’Economia, i numeri in grado di portare il prodotto interno lordo all’1,5% nel 2006 e di traghettarlo fino al 2% nell’anno successivo. Si potrebbe così far rientrare il deficit nella forbice compresa tra il 4,0 e il 4,1%,così come prescritto dagli impegni di risanamento presi dall’Italia a Bruxelles.
Le modalità con cui si realizzeranno i tagli sui delicati capitoli che sostanziano il welfare restano avvolte dalla nebbia della prudenza, mentre si fa nitido il timore relativo a un intervento strutturale sulle pensioni. A rischio poi sembrano essere gli enti locali, tra i soggetti più flagellati dal quinquennio di Berlusconi. Il governo, intanto, si limita a preferire le parole «ristrutturazioni» o «riorganizzazioni» dei settori. E tenta di spostare l’attenzione sull’altro aspetto della manovra, quello dedicato alla crescita e alle misure pro sviluppo. Il ministro del Lavoro Cesare Damiano presenta la riduzione del cuneo fiscale evidenziando i criteri ai quali deve essere agganciata: «Collegare l’incentivo a vantaggio delle imprese ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato, per riportare lo stesso alla forma normale di impiego. Previsto poi un progressivo innalzamento dei contributi per il lavoro parasuboridato». Anche se si affretta ad aggiungere che « vanno comunque fatte salve le esigenze di una buona flessibilità delle imprese». Il collega allo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, dichiara poi che i tagli alla spesa pubblica «non saranno generici. E’ opportuna una operazione di contenimento, dentro meccanismi di riforma». Ma che quei tagli saranno dolorosi lo rivela l’annotazione a margine del suo intervento: «Condurremo le cose in modo da essere compresi dalle forze economiche». Previsto poi un documento allegato, con il quale il ministro delle Infrastutture Antonio Di Pietro indicherà «sia per le ferrovie che per le strade le linee programmatiche sulle quali intendiamo muoverci». E c’è chi come il ministro della Salute Livia Turco si affida alla speranza: «Sono fiduciosa che in questo Dpef troverò le parole cruciali per una buona politica della salute».