Daki, indagine sugli interrogatori illegali targati Usa

La procura di Brescia ha aperto un fascicolo sulle accuse di Mohammed Daki, il marocchino espulso sabato scorso dal ministro Pisanu, che subito dopo essere stato prosciolto in appello dai giudici di Milano raccontò di essere stato sottoposto ad «interrogatori illegali» mentre era detenuto con l’accusa di terrorismo internazionale. Interrogatori che si sarebbero svolti nel 2003 nell’ufficio dell’ex pm antiterrorismo Stefano Dambruoso (attualmente in servizio presso l’Onu a Vienna) e condotti da «sei uomini e due donne» americani, forse agenti della Cia – anche se a lui avrebbero detto di appartenere all’Fbi. Il fascicolo conterrebbe esclusivamente articoli di stampa riguardanti le dichiarazioni di Daki e al momento sarebbe stato inserito nel modello dei fatti non costituenti notizie di reato. Il fatto che ad occuparsi delle indagini sia la Procura di Brescia sarebbe da ricondurre a quanto disposto dall’articolo 11 del codice di procedura penale, che in caso di magistrati sottoposti a indagini individua negli uffici del capoluogo del distretto di corte di appello la competenza territoriale. Un’inchiesta del genere avrebbe molto da dire e molto da scoprire. Ma c’è il rischio che tutto si riduca a un’azione formale visto che il principale testimone, Mohammed Daki, al momento neanche si sa dove si trovi. Ancora ieri, infatti, nessuna notizia sulla sorte del marocchino prelevato all’alba di sabato dall’ostello della Caritas di Reggio Emilia e sbarcato a Casablanca poco dopo le 13. «Ancora niente, nè per me, né per la sua famiglia che continua a cercarlo», diceva ancora ieri il suo legale italiano, Vanier Burani. L’unica speranza di saperne qualcosa di più, qui in Italia, dimora in Ali Ben Saffi Toumi, il tunisino coinvolto nella stessa indagine ma – a differenza di Daki – condannato a tre anni per falsificazione di documenti. Anche Toumi, infatti, aveva detto di essere stato interrogato da persone di nazionalità americana «ma quando ho cercato di capirne qualcosa di più, mi ha detto molto chiaramente che finché è in carcere non ha intenzione di tornare sull’argomento», ha spiegato il suo legale, Gabriele Leccisi. Toumi al momento si trova nel carcere di Nuoro Badu `e Carros, e dovrebbe uscire non prima di un anno.

Intanto a Rabat i parenti di Daki hanno contattato anche un avvocato marocchino. Si chiama Mourad Bekkouri: «Daki potrebbe trovarsi in stato di fermo – ha ipotizzato finora senza conferme – in base alla legislazione marocchina che permette di trattenere un sospettato di terrorismo per 96 ore. Scaduto questo termine, le autorità devono decidere se estendere il fermo, se lasciarlo libero oppure se incriminarlo». Insomma Daki potrebbe essere finito nel mirino dell’antiterrorismo marocchino, anche se in Italia in passato non si aveva notizia di procedimenti contro di lui nel suo paese. L’accusa caduta davanti ai giudici milanesi riguardava la presunta appartenenza ad Ansar Al Islam, gruppo operante nel kurdistan iracheno e al centro di anni di informative Cia sul terrorismo fondamentalista in Iraq.

Il fatto è che non sempre la procedura legale viene scrupolasamente rispettata nel regno di Mohammed VI. Ieri un marocchino espulso dall’Italia – in seguito a un’altra inchiesta antiterrorismo – si è messo in contatto con Burani, raccontandogli che al suo rientro in patria è stato detenuto per ben cinquanta giorni in un «carcere illegale», ovvero in una cella che non si trovava in alcuna prigione conosciuta. Non ha raccontato di torture o trattamenti degradanti – ha spiegato Burani – ma soltanto di «interrogatori estenuanti».

La sparizione di Daki non è dunque un caso isolato. Succede spesso che le persone rimpatriate dall’Italia con l’accusa di rappresentare un pericolo per lo stato debbano poi subire il «ripasso» nel paese di origine. Se si avranno notizie, comunque, non sarà per merito delle autorità italiane. Il Viminale, che ha deciso di espellere Daki nonostante sia stato assolto anche in appello dall’accusa di terrorismo, continua a ritenresi che non sia suo compito occuparsi del caso. Anche la Farnesina si ritiene, per ora, estranea alla vicenda. Ieri Cesare Salvi si è aggiunto al gruppo di parlamentari che hanno chiesto al ministro degli interni Pisanu di riferire in aula su quanto accaduto, presentando un’interrogazione urgente. Ma ancora non si sa se e quando il ministro si farà vedere.