Dadullah: trattate o uccidiamo Adjmal

Il presidente afghano Karzai deve trattare con i taliban la liberazione di Adjmal, altrimenti uccideremo l’interprete di Daniele Mastrogiacomo catturato assieme al giornalista di Repubblica e tuttora prigioniero degli studenti coranici. È questo il messaggio lanciato ieri dal mullah Dadullah, il comandante militare della guerriglia islamista intervistato da Sky Tg24, che ha specificato che la richiesta al governo di Kabul per ottenere il rilascio di Adjmal è sempre la stessa: la scarcerazione di due taliban che l’esecutivo afghano si sarebbe in un primo tempo impegnato a rilasciare, venendo poi meno alla parola data.
Il comandante militare sta diventando più popolare della guida spirituale, il super ricercato mullah Omar, dopo aver ottenuto un successo personale nella gestione del sequestro del reporter occidentale, cerca di capitalizzarne i risultati in termini di propaganda interna. Anzitutto, con l’intervista concessa alla tv italiana, prova a mettere fine a giorni d’incertezza sulla sorte di Adjmal. «L’autista del giornalista Daniele è in mano nostra. Non è un uomo qualunque, suo zio è responsabile governativo nel distretto di Bagram, lui stesso ha lavorato in una base militare americana. Ma il presidente Karzai dovrebbe avere a cuore la sua sorte, come ha avuto a cuore la sorte di Mastrogiacomo. Lo dimostri, tratti con noi. Altrimenti verrà dimostrato quello che io penso. Karzai è solo un burattino nelle mani di Bush, della Gran Bretagna e dell’ambasciata italiana». Poi lancia una sfida alle truppe, britannici e americani anzitutto, che stanno dando la caccia ai suoi uomini nel sud e nell’est del paese: «Con me ci sono uomini di diverse nazionalità e uomini di al Qaeda. Venite qui a cercarli e non colpite innocenti in altre zone», minaccia Dadullah, prima di aggiungere che tuttavia «per ogni arrestato di al Qaeda ce ne sono dieci taliban».
Ma la giornata di ieri è stata contrassegnata anche dall’ennesimo attacco contro le truppe italiane. Secondo quanto riferito dal ministero della difesa, una pattuglia di militari era impegnata «in normale attività di ricognizione» nei pressi di Shindad, circa 70 chilometri a sud di Herat, nell’Afghanistan occidentale, quando è stata attaccata da «elementi ostili» a colpi di arma da fuoco. Un incursore della Marina del Comsubin, uno dei reparti speciali delle forze armate, è rimasto ferito a un braccio in maniera non grave, tanto che non si è resa necessaria la sua evacuazione d’urgenza.
Resta il fatto che – come sottolineato negli ultimi giorni da documenti dell’intelligence e analisi dei militari – i soldati italiani a Herat e Kabul, aree un tempo considerate «tranquille» sono nel mirino di taliban e della coalizione di studenti coranici, signori della guerra e jihadisti che mirano a indebolire sempre più il già debole potere esercitato dal governo centrale grazie al sostegno delle migliaia di soldati inquadrati nel contingente multinazionale dell’Isaf, a guida Nato. L’ultima azione di guerra contro i militari italiani si era verificata domenica scorsa, quando una bomba artigianale (Ied) era esplosa al passaggio di un convoglio nella provincia di Farah – sempre nell’area dell’Afghanistan occidentale assegnata dalla Nato al controllo dei soldati italiani – senza provocare feriti. Nella stessa provincia, il 20 marzo, una pattuglia di forze speciali italiane era stata presa di mira da colpi di armi automatiche.
In precedenza, un altro attentato contro gli italiani si era verificato l’8 marzo scorso, nei pressi della capitale Kabul: una pattuglia era stata presa di mira a colpi di lanciarazzi Rpg, ma nessuno era rimasto ferito. In quell’occasione i soldati erano a bordo di un blindato.
I soldati italiani di stanza in Afghanistan sono oltre duemila, tra Kabul e la parte occidentale del Paese. Proprio nell’ovest, un settore in cui la missione della Nato Isaf è affidata al comando del generale italiano Antonio Satta, negli ultimi mesi c’è stata una recrudescenza di attacchi contro le forze di sicurezza afghane e i militari della Coalizione.