Quasi tutti i call center sono stati, in questi anni, «cattivi» per definizione, e questo i lettori del manifesto lo sanno: luoghi dove la precarietà ha proliferato senza argini. Oggi si sta ponendo una soluzione, con alcuni limiti: la finanziaria ha dato il via alle stabilizzazioni, offrendo il tempo indeterminato come sbocco, ma purtroppo in molti casi – la Cos è l’esempio più eclatante – i lavoratori si ritrovano con part time di sole 20 ore settimanali e 550 euro netti al mese, aprendosi un problema di tenuta salariale e previdenziale. Inoltre, devono firmare una conciliazione che porta alla rinuncia dell’intero salario pregresso. Ma almeno hanno il tempo indeterminato. Ci sono call center che invece non vogliono concedere neppure quello, che fanno i «furbetti del telefonino», così li definisce Alessandro Genovesi, segretario nazionale della Slc Cgil: tanti gruppi che si stanno sottraendo alla stabilizzazione. In tre modi.
«Il primo – spiega il sindacalista – è il gruppo dei più piccoli, con 30-40 operatori: non rispondono alle nostre lettere o spostano le sedi per non farsi reperire. Sappiano che non aspetteremo il 30 aprile, ultima data per le stabilizzazioni previste dalla finanziaria: partiremo subito con scioperi e ispezioni».
Al secondo gruppo appartengono aziende più grosse: «Omnia Network, con diverse migliaia di cocoprò in tutta Italia, Transcom, 800 precari solo in Puglia, Call&Call, 12 sedi nel paese e un migliaio di lavoratori: la loro tattica è quella di “disarticolare i tavoli”, evitando il confronto nazionale e trattando solo nelle sedi locali. Inoltre puntano a un’interpretazione che tradisce la “circolare Damiano”, in quanto per loro qualsiasi outbound, ovvero il lavoratore che fa le telefonate, può essere a progetto. Al contrario, per il progetto, secondo la circolare e l’avviso comune devono esserci le 7 condizioni minime: autonomia nei tempi, nessuna gerarchia, tecnologia che esclude l’inbound. E a dire il vero noi finora questa autonomia non l’abbiamo mai incontrata. Ecco che questi gruppi spostano fittiziamente centinaia di inbound verso l’outbound per sottrarsi alla stabilizzazione».
Il terzo gruppo cerca di aggirare i contratti: «Ne fa parte la calabrese Datel/Telic di Abramo: 2 mila cocoprò che vorrebbero assumere in apprendistato o inserimento, contratti inadatti a chi lavora già da anni al call center. C’è poi la 4You, un migliaio di operatori, che chiede deroghe al contratto nazionale su livelli e orari». Al «Doblone» di Brescia hanno addirittura firmato un contratto separato con la Cisl.
La Cgil manda un messaggio a queste aziende: «Vengano allo scoperto, è inutile nascondersi: se non verranno firmate stabilizzazioni eque, dopo Pasqua si comincia a ballare – annuncia Genovesi – Scioperi, volantinaggi, ispezioni. Siamo pronti a realizzare 100 Atesie».
Si pone infine un problema politico con Confindustria: «Molte di queste aziende sono firmatarie dell’avviso comune, ma adesso non lo rispettano: se credono di poter continuare a fare dumping si sbagliano. L’intero settore si deve responsabilizzare, insieme ai committenti: gruppi come Telecom, Wind, le grandi banche e carte di credito, le pubbliche amministrazioni. Raggiungendo un costo del lavoro omogeneo e puntando sulla qualità piuttosto che sui risparmi».
Fino a oggi sarebbero stati già stabilizzati 9 mila operatori (6300 Cos, 1800 Comdata, 800 Telegate, alcune centinaia Omnia Bari e Call&Call). Al sindacato starebbero però «sfuggendo» almeno altri 7 mila lavoratori stabilizzabili (ma il settore è ben più ampio e complesso, dato che vi lavorano 250 mila persone).