Anziché il social forum mondiale stipato in una cittadella allestita per i movimenti, centinaia di eventi delocalizzati e in collegamento fra loro. La chiamata all’azione globale era scattata all’ultimo Fsm in Kenia, poi è stata fissata la data, il 26 gennaio, sabato prossimo, per il culmine di una settimana di iniziative da cui ripartirà il cammino per il prossimo world social forum, a Belem, Amazzonia, nel 2008, con l’ambizione di attivare gli otto paesi confinanti.
Settecento, fino ad ora, gli eventi censiti dal sito ufficiale – www.swf2008.net – indetti da un migliaio di organizzazioni in 80 paesi, 150 solo in Italia ma in molti stati sono in cartellone eventi nazionali centralizzati. Alcuni esempi, la marcia degli Aborigeni australiani a Melbourne, la marcia per il “diritto al ritorno” dei cittadini di New Orleans sfrattati prima dall’uragano Katrina e dopo dalla speculazione edilizia della ricostruzione, la contestazione del prossimo G8 a Hokkaido, in Bangladesh per il diritto alla casa. Ma qui da noi ci sarà una coda unitaria e nazionale il 2 febbraio con il corteo a Cosenza in appoggio ai “sovversivi” del Sud Ribelle in attesa di sentenza. E tutto questo sulla base di un appello di una ventina di righe.
E’ davvero un segno di debolezza che la galassia no global rinunci all’evento degli eventi per polverizzarsi nei territori? La suggestione appassiona alcuni osservatori, soprattutto quelli specializzati nell’intonazione del de profundis per i movimenti. Al contrario, Raffaella Bolini, responsabile internazionale per l’Arci e componente del consiglio internazionale del Fsm, ritiene sia una sfida: «Altro che crisi, è un dispiegamento sui territori – spiega Bolini nella conferenza stampa di presentazione del calendario di azioni ospitata a Roma nella Città dell’Altra Economia sorta nell’ex mattatoio di Testaccio – un social forum richiede la presenza di una delegazione, qui si tratta di mobilitare la nostra gente. Vuol dire rendere visibile l’invisibile, fare in modo che l’alleanza altermondialista dia forza alle vertenze locali». Certo, la stampa mainstream avrebbe preferito proclami di guerra e azioni eclatanti al posto delle «prove di mobilitazione globale», così le chiama Piero Bernocchi (anche lui nel consiglio interazionale) che il gracchiare della connessione Skype nel padiglione convegni dell’ex mattatoio in qualche modo prefigura. «Il movimento altermondialista – continua il portavoce Cobas – è un'”Internazionale di fatto”, ma senza centro, senza stati o partiti guida. E’ un’alleanza a rete, che comprende capi di stato, come il presidente colombiano Morales, e grandi sindacati come Via Campesina (80 milioni di contadini in 80 paesi), o piccole forze come i Cobas. E’ una novità sconvolgente. E le divergenze che si registrano nei singoli paesi (ad esempio rispetto ai governi Lula o Prodi, o all’esecutivo indiano) non portano a scissioni».
Da Arbil, un volontario del Ponte per restituisce la speranza per il successo delle inziative nell’Iraq, almeno al nord dove la situazione è più tranquilla per la debole società civile irachena. Mustafa Barghouti, della Palestinian national initiative racconta di Ramallah senza acqua, luce e gasolio, di ospedali senza ossigeno per le incubatrici, di scarsità di farmaci e cibo sotto l’assedio. «Perché l’Europa tace? Perché continua a comprare armi da Israele?», si chiede il popolare leader prima di annunciare le azioni di Stop the wall, già partite a Jenine, Hebron, in preparazione a Nablus e Ramallah. Serviranno anche a spiegare l’apartheid al popolo no global e a mettere la Palestina in connessione con chi marcia per un altro mondo possibile. Un convoglio umanitario partirà da Israele per raggiungere Gaza. «E’ importante che il nostro popolo faccia parte di questa alleanza», conclude Barghouti.
L’idea di una giornata di azione globale non è nuova, c’è già il 17 novembre studentesco, e la suggestione affonda nelle tradizioni del primo maggio o dell’otto marzo. La sfida dei movimenti italiani è quella di articolare sui territori le alternative concrete alle scelte devastanti del liberismo. L’elenco sul sito è illuminante di quella che Alessandra Mecozzi della Fiom definisce «un’attivazione insperata» in una fase di turbolenze politiche e sociali. «Il movimento si sta riarticolando per vocazioni», aveva detto Raffaella Bolini. Il Patto permanente contro la guerra, quello nato dal 9 giugno romano contro Bush, manifesterà a Ghedi, contro le atomiche, Vicenza, Sigonella, a Bologna contro la coop Costruttori, e naturalmente a Roma con due inziative, una al ministero della Difesa, l’altra all’ambasciata Usa. Anche Lilliput punta su azioni per «una terra disarmata» con raccolte di firme per la moratoria sul Dal Molin e contro gli arsenali atomici e la denuncia del record di spese militari stabilito dalla recente finanziaria. Già domani i sindacati dei metalmeccanici, Fim, Uilm e Fiom, discuteranno sulle risposte ai disastri delle multinazionali nella stessa sala convegni, dedicata a Renato Biagetti («ucciso dall’odio e dall’intolleranza», ricorda la targa). Cgil, Cisl e Uil e la Confederazione sindacale internazionale, interna al consiglio del Fsm, hanno fatto avere la propria adesione.