Da Genova a Terni, l’Italia insicura

Anche ieri non si è arrestata la serie di infortuni sul lavoro: questa volta si tratta di un operaio di una cooperativa del salernitano scivolato dal predellino posteriore del camion e ora ricoverato in rianimazione. Nelle ultime 24 ore un altro portuale portuale genovese si è ferito, non gravemente; la procura di Messina ha iscritto nel registro degli indagati i due titolari della ditta Graci per la quale lavorava il traslocatore Santo Cacciola, morto tre giorni fa in seguito alla caduta di un montacarichi e, per finire, c’è stato l’ennesimo incidente ferroviario – a Terni – con 5 feriti leggeri tra i passeggeri che viaggiavano su un Intercity che ha urtato un merci fermo sui binari. Proprio a Terni, una settimana fa, era morto un ferroviere travolto da un convoglio.
Mentre il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani chiede «più mezzi e più ispettori», riprendendo l’appello di Romano Prodi dal Giappone, da Genova il governo prova a lanciare un esperimento che potrebbe allargarsi tutta Italia: un coordinamento unico nazionale di tutti gli attori che hanno competenza in materia di sicurezza sul lavoro. Ne ha parlato il sottosegretario alla Salute Gian Paolo Patta ieri in Prefettura insieme ai lavoratori portuali (compresi i «ribelli» che la scorsa settimana hanno bloccato lungomare Canepa), Asl, Autorità portuale, Inps, Inail, Comune e Regione. Patta vuole partire con una sperimentazione in Umbria e Liguria e «il porto di Genova sarà una delle sedi pilota in tema di sicurezza sul lavoro». Il tutto dovrebbe avvenire in tempi brevi: «Per il 14 maggio, data in cui abbiamo riconvocato il tavolo generale in prefettura – ha aggiunto – vorrei arrivare a un protocollo d’intesa anche tra datori di lavoro e amministrazioni pubbliche per un potenziamento delle attività ispettive».
I camalli lo hanno preso sul serio. Il coordinamento autogestito dei lavoratori portuali che nei giorni scorsi ha portato avanti la protesta e oggi si ribattezza «Assemblea di Ponte Etiopia», va oltre e caldeggia un coordinamento sulla sicurezza fatto dai lavoratori stessi, con potere d’ispezione 24 ore su 24 su tutta l’area portuale, con piena delega su tutte le aree del porto. Vale a dire, quando arriva una nave è un’equipe di lavoratori che decide come è più sicuro vuotarla o caricarla. L’Assemblea di Ponte Etiopia è riuscita ad inserire questo punto «caldo» nel documento dei sindacati confederali uscito ieri mattina dall’incontro nel dopolavoro ferroviario della stazione Principe e alla fine è stato uno degli argomenti centrali della riunione in Prefettura, anche se come ha precisato il presidente dell’Autorità portuale Giovanni Novi «ora bisogna parlarne con gli imprenditori che stasera non c’erano». Un rappresentante dell’Assemblea, Giovanni Ciri, portuale della Pietro Chiesa, alla fine dell’incontro in Prefettura era piuttosto soddisfatto: «E’ andata benissimo, c’era un’aria completamente diversa da quella che abbiamo sentito in questi anni». Quanto al coordinamento Ciri ha precisato: «La volontà delle istituzioni c’è. Non vogliamo una struttura gigantesca. Certo oggi si apre una vertenza con le imprese».
La giornata era nata tutta in salita con il console Paride Batini che alle sette di mattina buttava acqua sul fuoco. Poi decine di telefonate ai lavoratori da parte anche dei sindacati per far desistere tutti da un corteo. Alla fine un centinaio di irriducibili ha marciato verso la Stazione Marittima e poi sino a Palazzo San Giorgio con la collaborazione dell’Rdb che in porto raccoglie una ventina di adesioni e degli studenti medi superiori che hanno incollato il loro corteo di reggae e posse a quello silenzioso dei camalli aperto dallo striscione «Porto: 30 morti in dieci anni. Ora basta. Ciao Enrico». E sono arrivati con loro sino alla sede dell’Autorità portuale. Lì i portuali hanno parlato con il presidente dell’Autority Novi e hanno esposto la questione rifiuti tossici.
Dal tavolo serale alla Prefettura sono uscite anche le proposte di mettere una sede dell’Asl all’interno del porto, un ambulatorio possibilmente con un medico e rafforzare gli ispettori con nuove forze fornite dall’Autorità portuale.
Sulla carta è tutto molto bello. Sembra che in poche settimane si possa arrivare a un protocollo d’intesa. Ma al tavolo mancava il «lupo»: le imprese. E la capra ieri non ha mangiato il cavolo.