Da Gadda a Dell’Utri

Se si va in giro per la città ci si rende subito conto di come Milano sia malandata. Non c.è bisogno di discutere sui grandi temi dell.esistenza, basta guardare i marciapiedi, in gran parte rotti, rappezzati, simili a mantelli d.arlecchino, tra crepe e strisce d.asfalto, coi cordoli di antica pietra che sono stati gettati via, coi bolognitt . i sampietrini . che sembrano messi giù a caso, distanziati l.uno dall.altro, lo sporco della città che s.infila tra le fessure. Per risparmiare sulla manodopera e sui materiali, e anche perché i posatori non sono più capaci come una volta. L.orgoglio del mestiere si è perso, i padri non l.hanno trasmesso ai figli. E coi ciottoli, poi, radi sotto gli alberi, tra terra marcia e sterpaglia, persino di fianco alla Basilica di SantaMaria delle Grazie dove già di mattina presto fanno la coda giapponesi e cinesi per vedere il Cenacolo di Leonardo, «opera di profonda concezione», come spiega il cartello del Comune, dell.Azienda di promozione turistica e della Provincia.Se si alza la testa ai lampioni, dalle facciate delle case diventate un groviglio di graffiti dissennati, si capisce come la luce sia solo un.entità
in funzione della sicurezza. In certe strade le lampade sono gialle, su due file, in altre bianche o bianchissime, color del neon, su una sola fila, i pali vengono piantati a casaccio, il verde di una città senza piazze viene curato dagli sponsor del libero mercato. Qualche anno fa il Castello Sforzesco era diventato la notte un mostruoso agglomerato di mattoni illuminati da fasci di luce colorata, rossa, viola, gialla, blu, che mutavano a intermittenza come in un film disneyano. Se si riesce a salvarsi dal traffico
mortale e si leva ancora di più la testa, si arriva con lo sguardo ai tetti e ci s.imbatte nella fungaia delle
«cappuccine», spuntate in questi anni dopo che una legge regionale ha dato il via al «recupero degli abbaini» e sui condomìni ricchi, soprattutto, è nata un.altra città .Oltre alle «cappuccine», sui palazzi vecchi e nuovi sono sorti anche interi piani per dar conforto al detto berlusconiano che ognuno è padrone in casa propria È passato tanto tempo da quando, dopo mezzogiorno, si vedevano passare, affiancati in via Fiori Chiari, Craxi, Ligresti e Berlusconi che andavano a mangiare in una delle tante trattorie, spesso di loro proprietà, del quartiere di Brera. La Milano da bere. I luoghi del potere socialista erano gastronomici, il «Matarel» e il «Savini». I fedelissimi cenavano col capo, il lunedì, alla
trattoria di corso Garibaldi dove si decidevano carriere e mazzette, gli altri, le riserve di rango, gelose e cir-cospette, nel più lussuoso ristorante della Galleria, quasi a venir compensati della discriminazione gerarchica. Sembra che siano passati secoli da allora e dall.inchiesta Mani pulite, febbraio 1992, quando la città s.infiammò dopo che si era resa conto della ruberia generalizzata di cui era stata vittima. Erano saltati regole e princìpi dentro le vecchie mura. Una volta tutto sembrava quietamente susseguirsi in una sorta di antica retorica. Pareva che a contare, a Milano, la capitale morale, fosse il merito, l.intraprendenza, il lavoro ben fatto. E invece, a fare da selezionatrice, era soltanto la corruzione. Che è sempre esistita. Ma in quel modo impudico e programmato? Coi tavoli comuni dove sedevano persone di ogni idea politica per gestire, secondo il sistema proporzionale, carriere,
successo, guadagno? La città, un tempo ironica, affettuosa, anche se frenetica, si è come indurita, non ha saputo discutere le cause vicine e lontane di una corruzione che ha riguardato tutti
gli strati sociali e tutti i partiti politici. Non ha voluto darsi una ragione, cercar di capire quel che è successo, trovare i modi per ricominciare pulitamente tirando fuori idee e proposte.
I magistrati del pool Mani pulite avevano fatto ciò che dovevano. Davanti ai loro uffici, in Procura, si
formavano lunghe file di manager e di uomini politici per confessarsi, come era uso davanti al penitenziere del Duomo, e ottenere qualche beneficio di grazia. Il grande vuoto nato allora non doveva essere colmato con mezzi giudiziari, ma con gli strumenti della politica e della cultura che sono invece mancati. Se si pensa alla classe dirigente nata e fiorita a Milano dopo Craxi: Bossi, Berlusconi, la Moratti, la Pivetti, il sindaco Albertini. Adesso? I magistrati sono considerati degli eversori che hanno deviato il corso della storia. Il pool Mani pulite non esiste più. I condannati, gli indifendibili indagati,
sono rispuntati da remote caligini, molti di loro sono tornati alla politica, baldanzose vittime alla ricerca
di risarcimento. Anche la memoria della grande corruzione è stata cancellata, vale la parola «giustizialismo», una specie di jolly per tutti gli usi e i consumi.
La Giunta comunale di centrodestra ha proposto di dedicare a Craxi una lapide celebrativa proprio in piazza del Duomo 19 dove, al quarto piano, come in una staffetta degna di Charlot, si susseguivano i portatori delle buste gonfie di milioni e di miliardi. Sbattevano gli occhi i carabinieri di servizio, coi
loro magri salari, quando ai processi di Mani pulite ascoltavano gli imputati della grande ruberia confessare quanto avevano pagato e che cosa avevano avuto incambio.
Fa sorridere il ricordo della vecchia malavita raccontata da Gadda nell.Adalgisa: «L.Olocat
Ermenegildo detto .el Gildogratta. o anche .el Biscella., già una volta rincorso, per quanto invano, dal brigadiere Veronesi della squadra mobile; Carlo Moriggi detto «el Pistòla»; Tantardini Agatocle detto .el Scirésa.; Galbiati Pier Domenico detto .el Baüscia.; e Freguglia Vitaliano detto .el Casciavít.».
E creano invece malinconia, se si pensa a una città che fu fervida . dopo la seconda guerra mondiale; alla nascita del primo centrosinistra, negli anni sessanta; dopo la strage di piazza Fontana . le parole cheMagris ha scritto nel suo ultimo romanzo, Alla cieca: «Finché te le danno gli altri, i nemici, i farabutti, è una cosa che, se hai fegato, puoi sopportare. Il peggio viene quando ametterti nella fossa dei serpenti sono i tuoi, e dopo un po. non sai più se quelli sono i tuoi o se sono le carogne che con i tuoi hai sem-pre cercato di spazzar via. E dopo ancora un po. non sai nemmeno più se anche tu sei dei nostri
o sei diventato uno dei loro». A Milano è mutato del tutto l.assetto sociale.
Si cammina nelle strade della mez-za periferia e ci si trova di continuo davanti alle piccole fabbriche abbandonate, dai muri scrostati, dai vetri rotti, con i cartelloni delle imprese di costruzione che annunziano la destinazione futura, loft, show-room, supermercati, magazzini all.ingrosso. Se poi si va in periferia, alla Bicocca, per esempio, dov.era la Pirelli, tra l.università, il Teatro Arcimboldi e le casone operaie costruite e vendute dal padrone della gomma e dei cavi, si trova la terra desolata di un quartiere senz.anima. «Benvenuti nella città dei tuoi desideri», è scritto in grande sui tabelloni pubblicitari, ma gli operai diventati proprietari di casa faticano sempre di più a pagare il muto alla
banca. Se poi si va verso Sesto San Giovanni, si possono vedere i luoghi mitologici, la Breda, la Magneti Marelli, la Falck che furono l’orgoglio della classe operaia, della sua fatica e speranza, ridotte in frantumi, già affidate o promesse alla grande speculazione che ha preso il posto della grande trasformazione e della rivoluzione. La classe operaia è residuale, anche se continua a esistere e a lavorare nei capannoni senza diritti.
Ma la città, dove sono arrivati centinaia di migliaia di immigrati, uomini e donne di tutti i colori che
si vedono soprattutto al sabato sulla metropolitana e sui tram, ha perso il suo antico carattere. Le tute
bianche e le tute blu che arrivavano in centro con i loro tamburi di latta negli anni della contestazione
non ci sono più. Quando spuntano, nei giorni di sciopero per il contatto, la città bottegaia si sorprende che esistano ancora. Anche la borghesia non è più la stessa.
Quella più colta . illuminata, si diceva . si è chiusa in casa e in se stessa. E pensare che era proprio
l.incastro tra quella borghesia e la classe operaia a creare nella città vivibilità sociale e civile, a comporre i contrasti più crudi, a dir no agli oltranzismi.
Per arrivare all’aprile 2006 mancano ancora quattro mesi. Riuscirà a riscattarsi la città incattivita dove
il deputato del primo collegio è Berlusconi e il senatore è Dell’Utri?