Da Bush via libera all’escalation

Fiducia in Israele, ma attenzione ai civili. George Bush atterra a San Pietroburgo per il G8 e fa dire al portavoce Tony Snow che lo Stato ebraico «ha il diritto di difendersi» anche se nel farlo «deve limitare al massimo i possibili danni collaterali, anche per quanto riguarda le vite umane». Le critiche a Tel Aviv si risolvono quindi in consigli a non calcare la mano su infrastrutture e civili, mentre cade nel vuoto la richiesta, indirizzata allo stesso Bush dal premier libanese Fouad Siniora, di spingere su Israele perché interrompa le operazioni militari. «No, il presidente non prenderà una decisione militare per Israele», spiega Snow.
Avanti con le armi dunque e con i piani per l’evacuazione dei cittadini occidentali presenti in Libano. Il Pentagono, secondo la Cnn, sta mettendo a punto due schemi d’emergenza tarati a seconda delle dimensioni dell’esodo. Il primo prevede l’invio di elicotteri in alcuni punti di raccolta individuati negli aeroporti libanesi dotati di strutture logistiche e condizioni di sicurezza adeguate, il secondo è più ambizioso e punta all’utilizzo della marina per eventuali evacuazioni di centinaia o migliaia di persone. Contemporaneamente anche i paesi europei si stanno dando da fare per portare a casa diplomatici e residenti in Libano e si pensa anche ad un piano per i turisti che preveda l’utilizzo dell’aeroporto di Damasco, l’unico sicuro e funzionante nei pressi di Beirut. Ma la strada tra le due capitali è stata bombardata dai caccia israeliani e rimane sotto la minaccia di nuove incursioni.
E si parlerà di Libano oggi al G8, una riunione a cui gli Usa si presentano con il sostegno di Regno unito e Germania mentre la Russia guida il gruppo di chi considera «sproporzionato» l’attacco israeliano. Ieri il ministero degli esteri russo ha diffuso una nota in cui vengono condannati i sequestri dei militari, ma anche «l’utilizzazione non adeguata della forza da parte di Israele che provoca una minaccia alla sovranità ed integrità territoriale del Libano ed alla pace e alla sicurezza in tutta la regione. Siamo convinti – conclude la nota – che è impossibile risolvere il problema del Medio oriente con il ricorso alla forza militare». Con Putin la Francia di Chirac, che però si presenta al suo ultimo G8 più che mai indebolito, l’Italia di Prodi e la Presidenza finlandese della Ue.
Lunedì si incontrano a Bruxelles ministri degli esteri dei 25 in un consiglio che si preannuncia al veleno. Ieri Zapatero ha detto chiaramente che «Israele si sbaglia». «Una cosa è la difesa, che è legittima – ha affermato il premier spagnolo in un’intervista radiofonica – un’altra cosa è lanciare una controffensiva di attacchi generalizzati in Libano e nella striscia di Gaza, tutto ciò riporterà solo ad una intensificazione della violenza». Questa situazione «ci riporta indietro di decadi e dimostra che dall’attacco all’Iraq le cose sono andate di male in peggio». Zapatero termina reclamando alla Ue di portare avanti un’iniziativa per «il blocco immediato delle ostilità».
Durissima con Tel Aviv anche la Presidenza finlandese. «Il vecchio principio dell’occhio per occhio – afferma il ministro degli esteri Erkki Tuomioja – o nella versione attuale dei venti occhi per un occhio non può servire i legittimi interessi di sicurezza di nessuno». «Il terrorismo – prosegue Tuomioja – non può mai trovare giustificazione, ma alcuni possono chiedersi: quanti nuovi kamikaze hanno partorito le perdite di civili e la distruzioni di infrastrutture non militari queste ultime settimane?».
Il presidente di turno dell’Ue non esita nemmeno ad accusare apertamente Israele di aver «deliberatamente frenato, con atti come l’arresto di eletti palestinesi, che devono essere immediatamente liberati, piccoli passi incoraggianti come la firma del documento dei prigionieri», quello siglato da Hamas e Al Fatah e che implica un riconoscimento indiretto di Israele. Da Helsinki giungono parole chiare contro Israele, ma anche parole che una buona fetta dell’Europa non condivide. Il consiglio di lunedì rischia quindi di risolversi in un faccia a faccia tra il partito del diritto alla difesa di Israele, quello di Berlino, Londra e l’Aja, contro il partito di chi condanna l’escalation, guidato da Madrid ed Helsinki, supportate da Parigi e Roma.
Uno scontro che probabilmente lascerà nuovamente l’Europa afona. L’emblema di questa impotenza è la Commissione europea. Ieri ha concesso altri 50 milioni di euro di aiuti ai palestinesi, ma intanto non è ancora riuscita a condannare Israele per l’attacco del Libano. Uno stallo figlio delle divisioni dell’Europa che ben si riflettono nel suo seno. Per un Frattini che ribadisce il diritto di Israele a difendersi ci sono altri commissari che a microfoni spenti considerano «scandalosa» la mancata presa di posizione di Bruxelles.
Intanto l’Alto rappresentante alla politica estera Javier Solana rimane in stand by, in attesa che ci siano le condizioni di sicurezza per entrare in Libano ed iniziare un viaggio che portarlo poi in Israele, a Ramallah, quindi in Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Qatar e Siria. Una fonte vicina a Solana afferma che la «priorità del viaggio è la liberazione degli ostaggi, quindi il cessate il fuoco ed infine la normalizzazione della zona tampone al confine tra Israele e Libano». Parallelamente sono sul campo le missioni dell’Onu e quella del diplomatico russo Serghei Yakovlev.