Il diciassette novembre non sarà solo la giornata di mobilitazione del settore della Ricerca, contro alcune penalizzazioni contenute nella legge finanziaria. A scendere in piazza contro tutto l’impianto sarà la Cub. Dodici manifestazioni regionali, con alcune regioni che faranno qualche iniziativa in più. Liberazione ne ha parlato con il coordinatore nazionale Pier Giorgio Tiboni.
Perché manifestate contro la finanziaria?
Le modifiche di cui si sta discutendo sono marginali e non cambiano la sostanza. Se consideri i lavoratori e i pensionati, la somma algebrica tra quello che entra, con l’Irpef, e quello che esce con i contributi previdenziali e le aliquote regionali dà come risultato un euro o due al mese. A queste cifre va aggiunto il bollo auto, il ticket, il maggior prelievo sul Tfr. La redistribuzione quindi non c’è. Per fare la vera redistribuzione non bisognava dare i soldi ai padroni. Alle imprese verranno dati invece sei miliardi di euro. Il problema, quindi, è che l’unica redistribuzione è stata fatta a favore delle imprese. Per ogni lavoratore a carico riceveranno cinquanta euro.
Quale è quindi la vostra critica?
La critica principale che facciamo è che l’impostazione della finanziaria ha un segno liberista perché la ripresa dell’economia italiana non viene presa in considerazione sul lato della ripresa della domanda e quindi sul lato della redistribuzione. Il nostro sciopero è contro l’impostazione liberista, ma principalmente su come la Cub pensa debba essere effettuata la redistribuzione del reddito.
Perché non tenete conto degli sgravi ai nuclei famigliari nel vostro conto?
In realtà quelle tabelle non tengono conto di cosa pagheranno in più le famiglie con le addizionali regionali e i ticket.
Un capitolo della vostra piattaforma viene dedicato alle pensioni.
Si deve impedire che perdano ancora potere d’acquisto perchè in dieci anni hanno perso un quarto del loro potere d’acquisto.
Siete contro la precarietà ma non avete partecipato al corteo del quattro novembre. Perché?
Perché la manifestazione era a sostegno del governo. Gli obiettivi, poi, sono arretrati perché si rimane fermi ancora alle leggi fatte da Berlusconi. Se parli solo della Biagi e non del pacchetto Treu l’impostazione non è corretta.
Quella manifestazione però delle contraddizioni ne ha aperte, per esempio alla Cgil.
C’è una problema nella Cgil, che non riesce e a reggere questa fase in cui sta perdendo l’autonomia. I lavoratori, però, sanno fare i conti su quanto ci rimettono. E si chiedono se quello è il sindacato che li deve tutelare. E’ sempre più chiaro che la cosa che interessa le tre sigle confederali è mettere le mani sul Tfr. Se la Fiom, intanto, vuol contrastare il precariato c’è un lavoro da fare con il contratto nazionale.
Insieme a Rifondazione e ad altre sigle del sindacalismo di base avete raccolto le firme per una legge sull’adeguamento dei salari. Come è andata la campagna?
La raccolta delle firme è stata abbastanza spontanea. Il punto vero è che a fianco a questo serve la lotta e la mobilitazione. Non credo che possa reggere da sola l’ipotesi legislativa. Un meccanismo di adeguamento salariale è un obiettivo possibile sono con un forte movimento di lotta. Con la raccolta di firme abbiamo comunque portato la contraddizione dentro il Parlamento.
Quale è lo stato di salute del sindacalismo di base?
Dal punto di vista del radicamento da anni cresciamo almeno il 20 per cento all’anno e c’è una diffusione importante, anche tra i meccanici. Il problema è che c’è un percorso di unificazione, altri stanno ancora ragionando su cosa fare. Il percorso di unificazione è abbastanza inevitabile. O lo fanno le organizzazioni o lo fanno i lavoratori, che hanno capito che c’è bisogno di un grande sindacato di base che faccia il mestiere del sindacato.