“Crimini del Comunismo”, il maccartismo risorge nel Vecchio Continente

Nel corso dell’odierna seduta plenaria dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa verrà discussa una risoluzione sulla “necessità di una condanna internazionale dei crimini del comunismo”. Tale proposta viene avanzata contestualmente al proposito di una “condanna di ogni apologia e giustificazione del nazismo”. Non può sfuggire a nessuno la gravità di questa iniziativa. Qui non si tratta di alcuna riflessione o pronunciamento sui processi degenerativi del cosiddetto “socialismo reale”, di cui per primi avvertiamo la portata storica e alla cui non reticente critica è legata l’efficacia dell’azione di chi oggi continua a dirsi comunista. L’intento è, viceversa, quello di instaurare un clima da caccia alle streghe che prefiguri la criminalizzazione dei comunisti in quanto tali, la messa al bando dei loro ideali e dei loro simboli, la preclusione della stessa possibilità di un’attività organizzata e legale dei partiti che a tali idee si richiamano.
A sessant’anni dalla celebrazione della liberazione dell’Europa dal nazifascismo, resa possibile da una coalizione di forze di cui i comunisti furono componente essenziale, il progetto di risoluzione approdato in sede europea trae all’opposto ispirazione dal peggior revisionismo storico e tenta di legittimare una riscrittura della storia che equipara il comunismo al nazismo: nel solco di tale oscurantista impostazione, la comunità internazionale è dunque chiamata a condannare “i crimini del comunismo, così come è stato fatto per gli orribili crimini commessi in nome del nazismo”. Tanto più urgente è intesa essere tale scomunica, in quanto i suddetti crimini sono visti come “la conseguenza diretta della teoria della lotta di classe”: e a questo punto anche lavoratori e sindacalisti, non necessariamente comunisti ma comunque impegnati a dare forza alle loro vertenze, avrebbero buoni motivi per esser colti da qualche inquietudine. Beninteso, lo stravolgimento della cornice storica serve ad orientare in termini dichiaratamente repressivi gli atti politici del presente: la prima preoccupazione è infatti quella di evitare che “una sorta di nostalgia del comunismo, ancora viva in alcuni Paesi, crei il pericolo che i comunisti possano prendere il potere in questo o quel Paese”. Al fine di scongiurare una tale prospettiva, oltre ad una “revisione dei libri di scuola”, si chiede che “vengano rimossi, dove ancora non è stato fatto, monumenti, nomi di vie e ogni altro simbolo che possa avere una qualche connessione coi crimini commessi in nome del comunismo”. Sembra davvero di essere precipitati nel vivo delle crociate maccartiste, scatenate nei periodi più bui del secolo scorso.
Ma guai a sottovalutare simili sortite. Esse sono qualcosa di più di un rigurgito isolato; e rappresentano altrettanti segnali di un’incipiente involuzione della coscienza politica e civile, una regressione alimentata da quanti, persino in nome della democrazia, intendono far camminare all’indietro l’orologio della storia. Che a Trieste un vicesindaco (di An) trovi il coraggio politico di impedire, con pretesti procedurali, ad un coro partigiano la commemorazione della “Giornata della Memoria” davanti al lager nazista della Risiera, è un fatto. Che dall’altra parte dell’oceano, in un’università di Los Angeles, un’associazione di ex-studenti – tollerata dalle autorità accademiche – istituisca una taglia di 100 dollari per chiunque denunci professori “troppo di sinistra” è un altro fatto. Sono notizie di cronaca dei nostri giorni, tanto più preoccupanti in quanto si aggiungono – nella democratica Europa – alle sfilate neo-naziste nel centro della capitale lettone, alle iniziative parlamentari tese a dichiarare illegale la Gioventù comunista nella Repubblica ceca. E così via regredendo.
Le forze democratiche e progressiste possono e devono sbarrare il passo a tutto questo. Tra di esse, i comunisti sono a pieno titolo legittimati non solo a ricordare i “crimini del capitalismo”: i genocidi del colonialismo, le guerre mondiali, il nazifascismo e – oggi – la guerra preventiva e permanente. Ma – dopo un quindicennio di “capitalismo trionfante”, con gli effetti di devastazione sociale che ha comportato nel mondo – essi hanno altresì titolo a rivendicare una società più giusta di quella attuale. A cominciare dall’Europa.