Cremaschi: «Su hostess e steward la Cgil sbaglia. Si rischia di tornare indietro»

Intervista a Giorgio Cremaschi della segreteria nazionale della Fiom

“Chi non fa gli interessi dell’azienda non è un sindacato”, tornano i tempi bui della concertazione?
Innanzitutto, totale e incondizionata solidarietà al Sult. Non solo perché è inaccettabile che un sindacato rappresentativo sia cancellato con un tratto di penna. Ma soprattutto perché questo fa riemergere una questione di fondo che abbiamo vissuto anche se non così drammaticamente come Fiom. Se si applica rigidamente il principio per cui solo chi firma un accordo ha i diritti sindacali e se non c’è nessuna democrazia nella realizzazione degli accordi allora questo vuol dire che sono le aziende a decidere dell’esistenza dei sindacati.

Alla faccia del “sindacato dei lavoratori”…

Il sindacato prima di essere rappresentativo dei lavoratori deve essere interlocutore dell’azienda. Si ribalta così il concetto di rappresentanza. Il sindacato diventa l’interlocutore dell’azienda presso i lavoratori e non il rappresentante dei lavoratori presso l’azienda. Per questo la questione riguarda anche l’impegno per una battaglia politica a fondo per la democrazia sindacale. Impegno che mettere all’ordine del giorno nella riunione della Rete prevista per il 7 settembre a Bologna.

La sensazione è che se si arretra di un millimetro sul diritto di sciopero poi a cascata ricomincia l’attacco contro i diritti fondamentali…

Non è così strano. Ichino solo un mese fa aveva lanciato una campagna seppure ambigua a favore di regole sulla democrazia sindacale adesso invece pare essersele dimenticate e torna a legare l’esistenza dei sindacati non alla loro rappresentatività reale ma ai comportamenti concreti e ai gradimenti delle aziende. Mi pare una bella caduta di rigore.

Non ti stupisce la presa di posizione della Cgil?

Le posizioni assunte da chi ha parlato a nome e della Cgil sono negative per due ragioni: uno, perché si salta la questione della democrazia sindacale e questo ci rinvia ad uno dei temi centrali del congresso; tutta questa vicenda ripropone la necessità di una legge che garantisca ai sindacati i diritti sulla base dell’effettiva rappresentatività e ai lavoratori il diritto sacrosanto ad approvare con il referendum piattaforme ed accordi. Nella mancata solidarietà della Cgil al Sult vedo invece il ritorno di una subalternità alla Cisl e alla sua idea di un sindacato che non è sottoposto a verifiche di rappresentatività se non negli accordi con le controparti. Rischia di essere una regressione rispetto anche alle posizioni del 2001-2002 quando sembrò che tutta la Cgil scegliesse la democrazia come priorità. Oggi mi pare che l’unità con Cisl e Uil e il rapproto concertativo con le aziende venga di nuovo prima. E’ un passo indietro inaccettabile.

Perché l’Alitalia sceglie di muovere contro il Sult in questo momento?

Resta il fatto che è singolare che un’azienda che ha tanti problemi come primo atto decida l’autoritarismo. Mi pare un’idea di risanamento che un sindacato non può condividere, quella per cui per avere il gradimento della finanza un’azienda deve dimostrare di essere dura con i lavoratori. Direi che quanto sta avvenendo in Alitalia è l’altra faccia delle vicende immobiliari e delle scalate che hanno caratterizzato questa estate. Là c’è un capitale che rinuncia a qualsiasi legame con la produzione, qui c’è un’ìdea della produzione che rinuncia a qualsiasi vero legame con i diritti del lavoro. Sono due alternative entrambe da respingere. E anche per questo gli atteggiamenti di Maroni mi paiono strumentali. Questo governo ha nel suo codice genetico l’attacco ai diritti dei lavoratori e la strategia degli accordi separati. Il problema è se il centrosinistra e il sindacato confederale oppongono una politica davvero diversa da questo partendo dalla democrazia.