Cremaschi: «No al sindacato Pd Adesso organizzare il dissenso»

In queste ore nel sindacato confederale c’è un clima pessimo d’intolleranza verso il No espresso da tante lavoratorici e tanti lavoratori sul protocollo di luglio, verso il dissenso : è nato un nuovo reato, il “discredito dell’organizzazione”, che poi sarebbe semplicemente dire che non si è d’accordo. Finché si colpisce me o altri dirigenti è una storia già conosciuta. Ma quando si colpiscono giovani delegati entusiasti, che spesso si sono impegnati nel sindacato per la prima volta mettendo assieme la battaglia per il No e la lotta aziendale, si taglia l’albero su cui sièseduti». Giorgio Cremaschi non pare per nulla intimidito dalle pesanti polemiche promosse dall’alto dei vertici confederali. Con lui ragioniamo di quel che è e sarà dopo il voto della settimana passata.
Intanto, Cremaschi: cosa pensi di questo sussulto dei segretari generali sul testo Ucenziato dal Consiglio dei ministri?
Ho visto sabato dichiarazioni di dirigenti sindacali che dicevano : «Ci stanno imbro -gliando, non si rispettano ipatti», eccetera. Ora, ame paiono simili a quelle fatte alla fine di luglio, in particolare da parte del-laCgil…
Alludi alle riserve appuntate da Epifani all’indomani della firma?
Sì: poi da quelle si è passati a chiedere un sì convinto ai lavoratori… Quindi permettimi di guardare con molta cautela a queste dichiarazioni. Detto questo, è vera una co -sa: il protocollo realizza esattamente quei rischi che noi del No abbiamo indicato durante la consultazione e che venivano negati dal Sì.
Cioè, nella sostanza c’erano già nel testo firmato a luglio?
Appunto: si tagliano le pensioni ai giovani in maniera automatica, si innesata dal 2010 un meccanismo di revisione automatica del contributivo che sarà micidiale, si aumentano i contributi. E poi, si dice
adesso: «Non c’è scritta la garanzia del 60 per cento della pensione». Ma non c’era nemmeno nel protocollo. Oggi si scopre semplicemente che la sua attuazione è la più restrittiva possibile. In generale, il protocollo prevede che i diritti soggettivi acquisiti siano esigibili compatibilmente con i costi generali: ossia non sono affatto certi. Ad esempio: è stato tolto il tetto dei 5mila sui lavoratori usurati pensionandi, ma viene mantenuto il tetto di spesa…
Come ha ribadito Prodi nella lettera a Repubblica…
Ecco. Oltretutto, cisono ulteriori restrizioni all’utilizzo di questa norma: la principale è che si dev’essere nel lavoro usurante fino alla fine, quando ci sono moltissimi lavoratori usurati dalla catena di montaggio, ad esempio, che lavorano gli ultimi anni da magazzinieri.
Dall’altra parte, c’è la campana della Confindustria: che contesta «restrizioni» della proroga assistita dei contratti a termine…
La clausola contestata è in sé ridicola: la soglia dei 36 mesi riguarda i contratti a termine e non altri contratti, per cui uno può farsi 36 mesi di lavoro interinale, 36 col Cocopro, 36 con quello a termine e poi avere la proroga. In Spagna hanno fatto una norma che dice: «Dopo due anni a qualsiasi titolo si dev’essere assunti». Questa è una norma. Comunque, la sola allusione ad un intervento regolatore fa insorgere il padronato.
In questo clima si apre la stagione dei rinnovi contrattuali: che vuol dire la messa in primo piano della questione fiscale da parte dei vertici di Cgil CislUil? Siamo già nella stagione: il 30 c’è lo sciopero metalmeccanico. Contro una Federmeccanica che, lo sottolineo, su tutte le questioni normative dice «applicate il protocollo», mentre chiede più flessibilità e non dà i soldi. Certo, questa campagna sul fisco ha due facce: da una parte è sacrosanta, noi abbiamo chiesto 117 euro di
aumento e se li prendiamo ripaghiamo su il 36 per cento di tasse e contributi. Però o mi si dice che la lotta all’evasione e l’aumento delle tasse su profitti e rendite produce i soldi per diminuirle ai salari, o si fa propaganda.
Oppure, come dice Bonanni per la Cisl, si punta al salario aziendale legato alla produttività…
Oppure, come dice lui, «è finita l’epoca dell’aumento dei salari a prescindere». E dentro il protocollo, infatti, c’è la detassazione dei premi di risultato. Insomma: un conto è chiedere di ridurre le tasse sulla busta paga e sugli aumenti del contratto nazionale, un altro è farlo sul salario di rischio. Il ragionamento di Bonanni è lo del taglio della scala mobile negli anni 80: ridurre il peso del salario garantito perché rischiando di più il lavoratore guadagna di più. Il risultato, ne sono sicuro, sarebbe un ulteriore taglio del salario medio.
In sintesi: per te il protocollo quale stagione apre nelle politiche sindacali?
E’ un protocollo costituente: di un sistema di relazioni sindacali e sociali con al centro il ruolo della Confindustria, dove i diritti sociali diventano variabile delle compatibilità di risanamento della finanza pubblica mentre su salario e condizioni di lavoro la parola d’ordine è «flessibilità». E’ un protocollo ad alto contenuto ideologico: nella concertazione vista dal 1992 il tavolo aveva i tre lati distinti di Confindustria, governo e sindacati; qui da un lato ci sono le parti sociali che trovano l’intesa tra loro e dall’altro c’è la politica. E questo è possibile perché si afferma un modello di sindacato di mercato. E’ la cislizzazione del sistema di relazioni sindacali. Il protocollo è il Patto per l’Italia sottoscritto anche dalla Cgil e approvato dai lavoratori.
HaragioneIchino,allora?
Completamente ragione: in particolare quando dice che la confusione che c’è nei luoghi di lavoro con maggiore dialettica si deve al fatto che quel che andava male con Berlusconi adesso con Prodi si dice che va bene. E’ una vittoria politica del gruppo dirigente della Cisl.
Restail fattoche nel voto hanno vinto i Sì.
Onestamente penso questo: questa consultazione è diventata referendum dopo il voto. Voglio dire che, dai dati che ho visto, in tutti i luoghi di lavoro dove c’è stato un minimo di confronto tra le posizioni diverse, il risultato è molto più aperto. Cioè dove c’èstato il referendum, conil voto segreto, certificato e controllato, non c’è questa valanga di Sì…
Ma ti accusano proprio di delegittimare, così, il risultato: come rispondi?
Non ho difficoltà a dire che mettendo tutte assieme queste realtà, c’è una prevalenza del Sì. Ma c’è stato il referendum e insieme la consultazione, dovesivasemplicemen-te a raccogliere il consenso. Cito solo un dato: in Calabria, Sicilia e Campania c’è una partecipazione tra il 30 e il 50 per cento superiore alle ultime consultazioni, nel Centro-Nord questapartecipazione èpari e più spesso inferiore. E aspetto che qualche dato in più mi spieghi, poi, come mai in certe regioni la partecipazione dei lavoratori attivi si aggira intorno al 50-50 per cento e in altre all’80-90. Insomma: non si può più andare a consultazioni così, occorre un meccanismo trasparente. Questa è una consultazione che è divenuta referendum, con tutta l’organizzazione nelle mani del Sì; e il No a non potere spiegare le sue ragioni. Per questo penso che il risultato del No sia straordinario. E va sfatato il mito che sia solo metalmeccanico: la maggioranza di quei voti è fuori dai meccanici, in molte altre categorie. Non è un disagio: è una minoranza di massa del mondo del lavoro che non è d’accordo sulla linea di compatibilità e concertazione di Cgil Cisl Uil. Se i loro vertici pensano di governare il mondo del lavoro con il sistema maggioritario, devono sapere che così, davvero, aprono una frattura con quella parte.
Alludi anche tu ad un’aria da “sindacato unico” che si respirerebbe?
Non so se questo sia possibile né conveniente. Quel che so è che il Pd ha una precisa idea dell’inquadramento delle relazioni sindacali. E che il patto Cisl-Confindustria è la traduzione dell’ideologia del Pd: la flessibilità concertata, traloro. Adesso: o il sindacato del Pd pensa che quella minoranza di massa dev’essere semplicemente sconfitta, oppure cerca un terreno di confronto. Se devo stare alle prime risposte dei vertici confederali, devo dire che sono preoccupato. Vedo la tentazione a “normalizzare” l’anomalia delsindacato confederale italiano, che ha sempre visto un’anima riformista e una antagonista.
Che vuol dire nell’orizzonte storico della sinistra, mentre il Pd nasce sotto l’egida veltroniana?
Da sindacalista, lavorerò perché il No si organizzi per contrastare questa deriva e proporre un’altra piattaforma sociale, che punti alla redistribuzione di potere e di reddito, insieme. C’è anche molta depressione, ora, va detto: ma bisogna reagire, anche perché il conflitto ripartirà. E sono Cgil Cisl e Uil a dover decidere se essere governate daunpensiero unico.
Ma a livello politico?
Avviene la riproposizione in grande del disegno di Bettino Craxi: un partito di centro che fa egemonia sul sindacato come sull’impresa, realizzandone le compatibilità. Una sinistra che riconosce il valore del conflitto sociale non può che porsi in alternativa. Possono esserci alleanze tattiche ma alla lunga o si contrasta quel progetto o se ne viene assorbiti. Non posso che ripetere quel che ha già detto il segretario della Fiom, Gianni Rinaldini: la sinistra politica non può continuare ad ingoiare bocconi amari, in attesa d’essere “scaricata”.
Non pensi che la manifestazione del 20 ottobre dia un segnale diverso?
In questi giorni vedo che c’è una spinta di tanti che hanno dato battaglia per il No, nei luoghi di lavoro, a venire in piazza. Ab -biamo fatto una discussione nella Rete 28 Aprile: essendo una forza sindacale non ci saremo come sigla, ma ci saremo in tanti e anch’io ci sarò, proprio per proseguire la battaglia. Occorre però pensare ad un intero percorso di lotte: ci sarà l’appuntamento del sindacalismo di base, ci sarà quello del 24 novembre cui siamo favorevoli, ci sarà Vicenza, c’è in generale l’esigenza di costituire una situazione di movimento. E tutte le forze di sinistra radicale, che pure si sono contrapposte, devono trovare sedi in cui confrontarsi, adesso. Sinceramente, sul 20 ottobre non ho apprezzato la sua descrizione politicista: si è creata ambiguità presentandolo come un’occasione di riconnessione dei consensi ad una scomméssa di governo che è fallita. Ora, rispetto al Grande Centro che si va costruendo ci vuole un’opposizione di sinistra: perché con esso una certa idea di sindacato e di sinistra, semplicemente, è destinata a scomparire.