Cremaschi e il boom della Lega operaia: «Marxisti di destra. E Tremonti non sbaglia»

«Nel 2006 Prodi diventò presidente del Consiglio grazie al voto degli operai. Gli stessi che questa volta hanno scelto in massa la Lega, mandando a Palazzo Chigi Berlusconi».
Per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom e capo della minoranza di estrema sinistra della Cgil, «il successo della Lega era nell’aria, bastava girare nelle fabbriche».

Perché gli operai hanno scelto il partito di Umberto Bossi?
«Lo avevano già fatto nel 2001. È un voto di protesta che dice ai partiti di sinistra: “Non vi siete occupati di noi”, il segnale c’era già stato con i fischi dell’assemblea di Mirafiori del 7 dicembre 2006».

Ma perché proprio la Lega?
«Perché assomiglia di più a un partito marxista-leninista: ha una fortissima identità ma al tempo stesso un grande pragmatismo».

Solo per questo?
«No. La Lega dà una forte risposta, sia pure di destra, a chi si sente minacciato dalla globalizzazione. E nel centrodestra il libro di Tremonti, anche se un po’ spregiudicato, è però intelligente».

Lei è d’accordo con Tremonti?
«Condivido il giudizio negativo su quello che lui chiama mercatismo e io preferisco chiamare liberismo, ma non le proposte».

Se tutti questi operai che prima votavano per la sinistra ora scelgono la Lega, significa che la Lega è di sinistra?
«No. Anche un partito di destra può essere un partito popolare».

Allora gli operai sono diventati di destra?
«No. Sono rimasti di sinistra ma hanno punito chi li ha traditi».

Anche la Sinistra arcobaleno?
«Era la forza politica meno credibile. Aveva portato in piazza un milione di persone su salari e precarietà, ma nel governo ha ottenuto zero. Poi
ha commesso anche delle stupidaggini, come lo slogan “Anche i ricchi piangano”».

Ma non hanno votato neppure per Marco Ferrando e per i partiti della falce e martello.
«Gli operai non votano per formazioni elitarie».

Rosi Mauro, segretario del sindacato della Lega, dice che il Carroccio ha sempre interpretato i bisogni operai, ma che il suo sindacato è stato discriminato.
«Rosi Mauro me la ricordo fin da quando, molti anni fa, era una delegata della Uilm. Il Sinpa non ha mai sfondato perché fare sindacato non è una cosa semplice. Detto questo, chiunque oggi dice “Mettiamo alla prova la rappresentatività del sindacato” fa una cosa giusta. Non si deve nemmeno avere il sospetto che il gioco sia truccato».

E quindi?
«Se il governo fa una legge sulla rappresentatività sindacale, anche se per fini diversi dai miei, mi sta bene. Ci vogliono elezioni delle Rsu senza quote riservate a Cgil, Cisl e Uil. Ci vuole un rinnovo periodico delle deleghe, ogni 3-4 anni. E infine regole per garantire che il finanziamento sia trasparente».

Che linea deve avere la Cgil?
«La deve decidere un congresso. So che la mia posizione è ultraminoritaria, ma sono per una Cgil conflittuale. Ma non quella di Cofferati del 2002-2003. Non dobbiamo fare la grande opposizione politica a Berlusconi, ma tornare nelle fabbriche e batterci per il salario».

Ma dove la vede tutta questa voglia di conflitto? Il voto ha punito le forze antagoniste.
«Un operaio può votare Lega e fare tantissimi scioperi. Dopo l’autunno caldo, alle amministrative del 1970 a Mirafiori il primo partito risultò la Dc. Gli operai hanno votato Lega, ma se Berlusconi e Confindustria non aumenteranno loro i salari, il conflitto scoppierà».

Perché invece i dipendenti pubblici continuano a votare in maggioranza per il Pd?
«Perché si sentono più tutelati. Nel sindacato si deve aprire una discussione vera su questo. Non voglio fare i discorsi di Ichino sui fannulloni, ma nel mondo del lavoro convivono sacche di privilegio accanto a condizioni inaccettabili».

Il sindacato è una casta?
«Sì se ci si riferisce a un apparato di 20 mila persone e ai suoi meccanismi di autoriproduzione. no se si allude a privilegi economici. Io prendo 2 mila euro al mese e quando incontro un segretario nazionale del sindacato tedesco o inglese che guadagna 5-6 volte tanto mi prende per un pezzente».

Senta, ma non sarà che alla fine il sindacato non rappresenta più gli operai, ma soprattutto dipendenti pubblici e pensionati?
«I pensionati hanno un peso abnorme e danno al sindacato una connotazione di lobby politico-sociale alla quale non corrisponde una forza sindacale».