Care compagne, cari compagni,
mi rendo conto che questa nostra discussione rischia di apparire scontata e di risultare quindi noiosa. Tutto può sembrare già scritto sin dall’inizio: i compagni della maggioranza difendono la linea praticata dal partito per quanto concerne il confronto programmatico con le altre forze dell’opposizione, e quindi elogiano il risultato di questo confronto; i compagni delle minoranze, critici nei confronti della linea praticata dalla maggioranza, sembrano per ciò stesso criticarne gli esiti. Il tutto in un dialogo apparente, dove conta ribadire piuttosto che riflettere, ripetere invece che ascoltare.
Temo che poco o nulla si possa fare per eliminare il rischio che tutto appaia già scritto a priori, e di questo sento di dovermi scusare con chi mi ascolta. L’unico – parziale – antidoto può essere stare al merito delle questioni nel modo più stringente. Ciò significa discutere oggettivamente delle questioni del programma, a cominciare da quelle che sono le più importanti per tutti noi. Ringrazio, a questo proposito, Walter De Cesaris per la sua relazione sullo stato attuale della discussione. E voglio dire che comprendo bene il suo sforzo volto a porre in evidenza gli aspetti che egli considera positivi. Debbo tuttavia aggiungere che non mi ha convinto, proprio sui quattro terreni chiave: le questioni economiche, le politiche del lavoro, le politiche migratorie, le questioni internazionali.
Sulle politiche migratorie, la bozza del programma dell’Unione non prevede l’abolizione dei Cpt, che Romano Prodi ancora pochi giorni fa ha pubblicamente rivendicato in quanto creatura del centrosinistra. Sbaglio o l’abolizione dei Cpt era una delle richieste che tutto il Partito considerava prioritarie?
Quanto alle politiche del lavoro, non si prevede di bloccare le esternalizzazioni del lavoro pubblico (bensì soltanto di «regolamentarle») e soprattutto ci si guarda bene dal prendere atto delle gravi responsabilità che l’Ulivo reca in relazione al dilagare della precarietà. Il Pacchetto Treu resta la stella polare del centrosinistra, che continua a difendere lavoro a progetto e lavoro interinale.
Politiche economiche: nonostante le conseguenze devastanti delle privatizzazioni, il programma dell’Unione si ostina a ribadire i dogmi del liberismo (la concorrenza come toccasana dell’economia e come strumento di sviluppo, capace di creare nuova occupazione e di ridurre i prezzi al consumo). E su questa base prevede «politiche di apertura concorrenziale» dei servizi pubblici locali, a cominciare da energia, trasporti e acqua (quanto a quest’ultima ci si limita a puntualizzare che rete e gestione debbono rimanere «almeno inizialmente» pubbliche).
Infine, sul piano internazionale De Cesaris ci ha informati della reintroduzione del termine «occupazione» per quanto concerne l’Iraq. Si tratta certo di un fatto positivo, che però non compensa il persistere di enunciazioni inaccettabili. Nella bozza non vi è traccia della richiesta di ritiro immediato dei nostri soldati dall’Iraq (né da altri teatri), mentre si prevede di definirne il calendario sulla base della «consultazione con le autorità irachene», e ciò anche per «sostenere nel migliore dei modi la transizione democratica dell’Iraq». Non bastasse, si aggiunge che occorreranno «azioni» volte a «sostenere la ricostruzione economica» dell’Iraq. Non credo di esagerare dicendo che siamo al cospetto del più classico schema coloniale: prima si fa la guerra, poi si progetta di sfruttarne le conseguenze sul piano economico.
Se ne avessi il tempo, farei molti altri esempi. Mi pare comunque che quanto sin qui riportato sia più che sufficiente per dire che la bozza ci consegna un programma irricevibile. Stiamo attenti, compagni: non si tratta di stabilire se la bozza del programma contenga o meno anche elementi positivi. Ci mancherebbe che non ve ne fossero! Né si tratta di verificare se in alcuni ambiti la bozza presenti miglioramenti rispetto alla situazione attuale, prodotta dal governo delle destre. Ripeto: ci mancherebbe che non ve ne fossero! Ma chiedo: è di questo che stiamo discutendo, o non dobbiamo invece vedere se il programma dell’Unione – il programma di un governo del quale Rifondazione dovrebbe far parte – contenga o meno nostre istanze, nostre posizioni, nostri punti qualificanti?
Domando: c’è da stupirsi di questi risultati, del tutto insoddisfacenti? No. Non c’è motivo di stupirsene, a meno di raccontarsi favole sul conto dei nostri interlocutori del centrosinistra. Non abbiamo mai condiviso le analisi che parlavano di presunti «spostamenti a sinistra» dell’asse politico dell’Unione. Abbiamo sempre saputo che cosa non solo Prodi e la Margherita, ma anche la maggioranza dei Ds pensino di «liberalizzazioni», esternalizzazioni e privatizzazioni, di flessibilità e precarietà. Sappiamo bene che queste forze sono persuase delle virtù auree del mercato e del privato, nei quali scorgono i massimi vettori di progresso (ragion per cui il programma riserva grande spazio al cosiddetto «privato sociale» e in generale al no profit). Sappiamo tutto questo e non scopriamo oggi nemmeno quale sia la posizione dell’Ulivo in politica estera, il fatto che la «leale alleanza» con gli Stati Uniti ne costituisce un cardine, dal quale discende il giudizio sulla vicenda irachena che ho appena riportato. Non abbiamo certo dimenticato i toni di insofferenza di Ds e Margherita nei confronti di quello che queste forze definiscono con disprezzo «pacifismo assoluto».
Dunque non ci meravigliamo di quanto troviamo nella bozza del programma, e del resto lo stesso De Cesaris ha più volte sottolineato il connotato moderato delle posizioni assunte dalle forze dell’Ulivo. Nessuna sorpresa, dunque. Ma ciò non riduce l’interesse della nostra discussione. Semmai, aggrava le ragioni delle nostre critiche: critiche che – voglio chiarirlo – non mettono in discussione il riconoscimento degli sforzi compiuti dalle nostre compagne e dai nostri compagni ai Tavoli programmatici, e che concernono anche aspetti di metodo e di tattica politica.
Certo le distanze delle posizioni di partenza tra noi e le altre forze del centrosinistra erano e restano molto profonde. Certo, i rapporti di forza nell’Unione non ci sono favorevoli. Ma questo lo sapevamo bene sin dall’inizio. Non avremmo dovuto trarne il suggerimento di adottare un basso profilo (prima siglare l’accordo, poi aprire il confronto sul programma), ma, al contrario, l’indicazione di aprire il conflitto più marcato (facendo piuttosto discendere l’eventuale accordo da un buon risultato del confronto).
Oggi a me pare che ci troviamo in una situazione molto difficile e pericolosa, come del resto ammettono anche autorevoli compagni della maggioranza. Ricordo che ancora una decina di giorni fa Alfonso Gianni ha dichiarato che il programma (che intanto Prodi ha ritenuto di presentare in via ufficiale agli ambasciatori dei Paesi dell’Unione Europea) è «da rifare». Che cosa ci si attenderebbe da simili dichiarazioni? Se le parole hanno un senso, non soltanto la correzione di singoli enunciati, bensì che venga riaperta tutta la partita, rimettendo in discussione i presupposti del confronto politico col centrosinistra.
È tardi? Certo, è tardi. Si sarebbe dovuto procedere in tal senso molto tempo fa, cominciando con l’individuare pochi elementi forti di accordo politico con le altre soggettività della sinistra di alternativa, istanze qualficanti capaci di salvaguardare il Partito in un passaggio di straordinaria complessità. Adesso è tardi. Ma forse non è troppo tardi. Credo sia necessario battersi, fino all’ultimo, per questo risultato, chiarendo, adesso, che l’accordo di governo non è un fatto acquisito. Ci consentono di procedere in questo senso proprio gli arretramenti, gli stravolgimenti programmatici denunciati anche da compagni della maggioranza.
Una cosa mi pare comunque fuori discussione: tutto è meglio, piuttosto che sottoscrivere un’intesa programmatica che legittimerebbe politiche incompatibili con gli assi di fondo della nostra posizione e sulla base della quale non è proponibile l’ingresso del Prc nell’eventuale futuro governo dell’Unione.