CPN del 21-22 aprile 2007 – Intervento di Claudio Grassi

Concordo con la relazione del compagno Walter De Cesaris, che si è mossa in sintonia con il lavoro positivo che abbiamo svolto alla Conferenza di organizzazione di Carrara. I due congressi congiunti dei Ds e della Margherita, che si tengono proprio in queste ore, dimostrano che la crisi della rappresentanza politica – la cosiddetta transizione tra la prima e la seconda Repubblica – per quanto riguarda appunto la vicenda politica del nostro Paese, non è affatto conclusa. Per i Ds va a compimento sostanzialmente in queste ore il processo iniziato con la Bolognina. Avevamo visto giusto quando all’epoca ci opponemmo a tale processo: dietro l’archiviazione dei nomi e dei simboli vi era infatti con tutta evidenza la scelta di distaccarsi anche dai riferimenti sociali che quel partito fino a quel momento aveva incarnato.
Con la Bolognina si produceva il distacco simbolico con una storia. Oggi, a Firenze, avviene anche il distacco da una classe di riferimento: dai lavoratori, dal lavoro dipendente.
Ciò apre nel nostro Paese un problema inedito per la Cgil: la quale, rispetto alla rappresentanza politica, si trova per la prima volta dal dopoguerra ad oggi in una condizione del tutto nuova. Nel merito, credo si determini una situazione per noi interessante su cui intervenire come partito politico.
Dall’altra parte, la Margherita punta – in particolare con il progetto rutelliano – alla completa americanizzazione del nostro Paese e quindi alla chiusura di quella che è stata l’anomalia italiana, la diversità di un Paese in cui, grazie all’azione di alcune forze politiche e soprattutto per via della forza dei lavoratori e del loro movimento organizzato, non si è mai chiusa la prospettiva dell’alternativa con l’uniforme imposizione dell’alternanza.
Il progetto del Partito democratico, per come lo intende Rutelli e oggi anche la maggioranza dei Ds, mira a chiudere questa anomalia. Non sarà un processo semplice e, dal mio punto di vista, non è nemmeno detto che resisterà nel tempo. Vedremo. Non diamo per definitivamente stabilizzato il quadro politico con la costruzione del Partito democratico: c’è una scissione in corso e c’è un disagio del popolo diessino. Anche nella Margherita vi è disagio: e non è detto che anche loro non escano allo scoperto in successivi passaggi.

Per quanto ci riguarda, il fatto positivo è che la sinistra dei Ds sceglie di collocarsi nel nostro campo, nel campo della sinistra di alternativa e non in quello del Partito democratico. Qui sta il punto saliente di questo congresso. Ciò consente alla sinistra di alternativa di fare un salto di qualità. Ma c’è un punto politico su cui chiedo grande attenzione: tutto fallisce se si parte dai contenitori e non dai contenuti. Potremmo esser tentati di dire: loro fanno il Partito democratico ed allora noi facciamo il partito della sinistra.
Così, dal mio punto di vista, non si va da nessuna parte: un conto è l’unità programmatica, altra cosa è la convergenza in un unico partito. Non sottovalutiamo questa distinzione: si tratta di cose completamente diverse. E se confondessimo i due piani, daremmo vita ad un disastro politico.
Siamo sicuri, per esempio, che con il compagno Mussi, con cui vogliamo costruire una forte convergenza, la pensiamo allo stesso modo su tutti i punti strategici?
Come è possibile che le divergenze rilevantissime che abbiamo avuto con Mussi e altri compagni che oggi escono dai DS, dagli anni ’80 in poi a partire dalla Bolognina – dal maggioritario per arrivare alla guerra – siano scomparse? E come la mettiamo con la questione della collocazione internazionale del partito? L’obiettivo polemico più rilevante che questi compagni hanno posto al centro della loro battaglia congressuale è appunto il fatto che il Partito democratico non assume la collocazione dell’Internazionale socialista. Contrariamente a quanto invece essi ritengono: che cioè in Italia debba permanere un partito che abbia quell’identità e quei riferimenti internazionali.
Da questo punto di vista, vorrei dire al compagno Musacchio che anche io concordo sul fatto che una forza politica come la nostra non può non avere come orizzonte di iniziativa politica il quadro europeo. Ma in merito alla Sinistra Europea, che qui è stato richiamata, come non riconoscere che anche rispetto a questo progetto politico scontiamo un qualche problema, se in Francia alle elezioni presidenziali la sinistra di alternativa, invece di presentare un candidato attorno alla Sinistra Europea, presenta sei candidati! Evidentemente quel progetto, che inizialmente era stato lanciato per creare un’aggregazione più ampia di quella del Gue, sconta un limite di capacità attrattiva e di sintesi.
A ciò si connette un’altra questione. Da un po’ di tempo si parla di “socialismo del XXI° secolo”. Ovviamente, non ho problemi – compagni – con il termine. Peraltro, lo usano Chavez e Fidel Castro. Vorrei tuttavia rilevare che noi siamo impegnati, oltre che nella ricerca sul “socialismo del XXI° secolo”, anche – o dovremmo esserlo – nella “rifondazione comunista”, a cui sarebbe un tragico errore rinunciare.
Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che, dal momento in cui si siano messi d’accordo quattro o cinque autorevoli esponenti storici della sinistra di alternativa, si possa fare un unico partito cancellando nei fatti la presenza di una autonoma forza comunista in Italia.
Per la storia che ha questo Paese sarebbe una scelta suicida e impraticabile. Viceversa, occorre lavorare per costruire l’unità possibile: coordinamento dei gruppi parlamentari a tutti i livelli delle istituzioni; coordinamento delle riviste e delle pubblicazioni per approfondire tra di noi il dibattito politico, culturale e identitario; costruzione, sia a livello centrale che nei territori, di mobilitazioni e iniziative comuni sulle questioni della pace, sulle privatizzazioni, su tutta la partita del risarcimento sociale.

Siamo a un bivio: o il governo sceglie, attraverso una redistribuzione del reddito, di riconnettersi con il suo popolo o il disagio, che è già forte, può diventare distacco. Non sto evocando il fatto che noi dobbiamo lavorare per la rottura, perché quello che si determinerebbe sarebbe un peggioramento della condizione attuale. Sto dicendo che questa rottura si produce nei fatti se si va in una direzione opposta a quella che noi auspichiamo. E’ essenziale che noi si riesca ad evitare ciò, sia sul cosiddetto tesoretto sia sulla vicenda delle pensioni. Qui ci giochiamo la partita politica più importante rispetto al nostro rapporto con il governo: perché è del tutto evidente che sulle questioni della redistribuzione del reddito e dello stato sociale – delle scelte quindi di politica economica e sociale – non possiamo replicare quanto accaduto con la legge finanziaria. Con la finanziaria, siamo andati nella direzione sbagliata. Stavolta, non c’è nemmeno più la scusa che non ci sono i soldi. I soldi ci sono e devono andare al risarcimento sociale: guai a noi se dimostrassimo di non essere all’altezza su questo.

Infine sul partito. Dobbiamo insistere con la linea emersa a Carrara e ben sintetizzata nel documento finale: un documento che considero un punto avanzato, uno dei risultati più significativi che il nostro Partito abbia prodotto in questi ultimi anni. A partire da esso – pur nella dialettica e nelle differenze che restano tra di noi su alcune questioni importanti di riflessione politico-strategica – si può lavorare per costruire un partito meno conflittuale e balcanizzato.