CPN del 17 giugno – Intervento di CLAUDIO GRASSI

Il Segretario ci ha proposto una relazione con parecchi spunti. In questo mio intervento, per ragioni di tempo, mi limiterò a trattare i punti su cui tra noi vi è un dissenso.

Franco Giordano, analizzando la dialettica all’interno dell’Unione in questo primo mese di attività del Governo, ci ha parlato di “afasia” delle componenti moderate a fronte di un protagonismo delle componenti radicali.
Non sono d’accordo. Vedo una situazione opposta che sta determinando una difficoltà pesante per Rifondazione Comunista e, più in generale, per la sinistra di alternativa.
Vorrei anche dire in premessa – poiché nella relazione si è parlato di una tendenza nel Partito che anziché misurarsi con le difficoltà si accontenta della denuncia – che è lungi da me una posizione testimoniale che rinunci aprioristicamente a misurarsi con i problemi e a tener conto dei rapporti di forza. E’ anche un po’ singolare che si avanzi a noi oggi questa critica, quando fino a poco tempo fa eravamo accusati esattamente dell’opposto: e cioè di essere troppo disponibili a ricercare intese con le altre forze del centro sinistra per battere le destre. Noi siamo sempre sulla stessa posizione, che è quella riassumibile nel binomio unità/autonomia. Ci pare che oggi la maggioranza del Partito non stia facendo emergere sufficientemente il secondo aspetto, cioè quello della autonomia del Partito rispetto all’Unione.

Detto questo, il nostro ragionamento parte necessariamente dalla valutazione della reale situazione politica che si è determinata nel Paese in conseguenza dei primi atti di Prodi.
Non c’è dubbio che sta emergendo una immagine del Governo opposta a quella da noi auspicata. Non dimentichiamoci che in campagna elettorale e nella fase conclusiva di stesura del programma dell’Unione avevamo sottolineato che il nuovo Governo avrebbe praticato una discontinuità rispetto a Berlusconi e ai passati Governi di centro sinistra, in particolare sulla politica economica, sostenendo che si sarebbero assunte misure redistributive verso i ceti sociali più deboli.
Mi pare che il quadro che si sta prospettando sia sulla manovra bis, sia sui futuri provvedimenti per rientrare dal debito, vada nella direzione opposta.
Si parla di aumenti dell’Iva, riprende quota una posizione che vorrebbe mettere mano di nuovo alle pensioni, qualcuno pensa ad introdurre tickets per i ricoveri ospedalieri, qualcun altro pensa di ridurre drasticamente il numero dei lavoratori della pubblica amministrazione, si riparla di una necessaria politica di privatizzazioni e liberalizzazioni. Ritorna ossessivamente, esattamente come negli anni ’90, il tema del risanamento dei conti pubblici e del rispetto dei parametri di Maastricht, come se tale impostazione fosse neutra, da realizzarsi quasi come precondizione per poter fare tutto il resto.
Se è così, siamo alla riproposizione tale e quale della politica dei due tempi: la stessa che avevamo detto non avremmo mai più praticato e che ha determinato un drammatico impoverimento – questo sì da affrontare immediatamente – delle famiglie italiane.
Ma noi ci siamo impegnati a garantire un intervento tempestivo capace di far fronte al grave problema, per milioni di persone, della quarta settimana, abbiamo parlato di immediata restituzione del fiscal drag, abbiamo detto che avremmo abolito lo scalone del 2008 sulle pensioni, che la riduzione del cuneo fiscale sarebbe servita per ridurre l’erosione del potere d’acquisto di salari stipendi e pensioni a fronte dell’aumento del costo della vita, che avremmo inserito un meccanismo tale da consentire ai lavoratori di recuperare il divario tra l’inflazione programmata e quella reale. Di tutto ciò nelle parole di Padoa Schioppa non c’è traccia; al contrario ci invita a praticare una politica di “moderazione salariale”. Sarebbe opportuno che qualcuno portasse al ministro dell’economia la fotocopia di una busta paga di un’operaia tessile!
Come Partito, abbiamo commesso un errore nel dire subito di sì ad una manovra economica bis.
Dovevamo chiedere al Governo di sostenere in Europa, come hanno fatto in passato Germania e Francia, la possibilità di dilazionare il rientro nei parametri previsti in un periodo di tempo più lungo. Tra l’altro questa posizione era auspicata inizialmente anche dalle organizzazioni sindacali: avremmo potuto affiancarci ad una loro richiesta.
Sta di fatto che oggi l’esordio del Governo Prodi si è caratterizzato agli occhi dell’opinione pubblica su due questioni: al contrario di quanto promesso in campagna elettorale, un numero esorbitante di ministri e sottosegretari (un vero e proprio record: 102 persone!) e, sul piano economico, la prospettiva di ulteriori sacrifici.

La seconda questione che vorrei toccare – la quale, detto per inciso, mi conferma il fatto che in questo Governo siamo noi in difficoltà e non la componente moderata – è la mancata elezione della compagna Menapace alla Presidenza della Commissione Difesa. Si è trattato di un fatto grave in sé: un’elezione mancata, pur essendo stata concordata, a causa della scelta di un senatore dell’Unione di farsi sostenere dalla destra. Ma ancor più grave è stato, a mio giudizio, il fatto che l’Unione e Prodi non siano andati oltre una condanna di circostanza. Si è data l’impressione che la cosa fosse riconducibile ad uno spiacevole incidente di percorso, rispetto al quale non si poteva fare nulla per modificarne l’esito. Se a ciò aggiungiamo il fatto che proprio in quei giorni è uscita l’intervista di Prodi su un giornale tedesco – ripresa poi da ‘La Repubblica’ – dove i comunisti che sostengono il Governo vengono definiti “folkloristici e innocui”, non mi pare affatto che si possa essere soddisfatti. E’ vero che anche a proposito dell’intervista c’è stata una smentita, peraltro assai timida e reticente; ma è altrettanto vero che l’intervistatore – direttore del giornale e buon conoscitore della nostra lingua poiché italiano e non tedesco – ci ha informato che il pezzo era stato rivisto dallo staff di Prodi nonché riprodotto da ben due registratori.

L’ultimo aspetto riguarda la politica estera. E’ infatti su questa materia, assieme alle scelte di indirizzo economico, che si addensano i problemi più rilevanti.
Mi riferisco ovviamente al tema delle missioni militari, in particolare quella in Afghanistan.
Per quanto riguarda l’Iraq, infatti, sembra scongiurata l’ipotesi, balenata in un primo tempo, del mantenimento di 800 militari. Il ritiro sarà quindi totale, seppure realizzato in tempi eccessivamente lunghi, non giustificati da esigenze tecniche e di sicurezza. In ogni caso il ritiro dall’Iraq è un fatto importante, che va ascritto prima di tutto all’iniziativa del nostro Partito, delle altre forze della sinistra di alternativa e del movimento contro la guerra.
Sull’Afghanistan, invece, le ipotesi in campo sono assai preoccupanti. Rispetto alle grandi difficoltà che su tale materia vanno profilandosi, non possiamo non ricordare l’allarme che per tempo avevamo lanciato, quando si stava discutendo il programma dell’Unione: ricordo che io stesso chiesi, in un intervento al Cpn, in qual modo si intendesse affrontare il problema del rifinanziamento della missione in Afghanistan. Non si diede nessuna risposta e si scelse di non affrontare il problema. Rimandare le cose non significa risolverle. Non sarebbe stato meglio, sapendo che su questo punto sussistono dissensi e che la materia difficilmente è negoziabile, chiarire prima le posizioni? Non sarebbe stato più serio per il nostro partito – che ha sempre votato contro (ben 8 volte) la missione in Afghanistan – e per i nostri alleati, esplicitare in fase di elaborazione del programma la nostra contrarietà?
La situazione è assai complicata poiché sia Prodi sia i ministro degli Esteri e della Difesa si sono già pubblicamente pronunciati per la riconferma del contingente italiano in Afghanistan. D’Alema ha anche parlato in sede di Commissione esteri della possibilità di un incremento sia in uomini che in mezzi. Noi dobbiamo ribadire due cose con grande nettezza: è impensabile per Rifondazione Comunista un voto favorevole al rifinanziamento, ove si preveda un aumento del contingente o la riproposizione della missione così come avanzata in passato da Berlusconi (su cui votammo convintamente contro). Nulla sarebbe più deleterio per la prospettiva del nostro Partito del fatto di accantonare obiettivi e valori costitutivi, come quello della pace, solo perchè dall’opposizione si è passati al Governo.

Sulla base di queste considerazioni, che mi inducono a dare una valutazione negativa delle prime iniziative messe in campo dal Governo Prodi, ritengo necessario un salto di qualità nell’iniziativa del nostro partito. Abbiamo bisogno di darci uno scrollone. Dobbiamo lavorare nella società per creare movimenti di lotta, poiché solo attraverso una tale iniziativa possiamo sperare di mettere in difficoltà la tendenza – forte nell’Unione – a tornare alle politiche di liberismo temperato. Da questo punto di vista un sostegno forte alla raccolta di firme per una nuova scala mobile non può che aiutarci nel contrastare la tesi, cara a Padoa Schioppa, della moderazione salariale. Così come la raccolta di migliaia e migliaia di firme in calce all’appello di Strada, Zanotelli, Ciotti, Dell’Olio, contro il rifinanziamento delle missioni militari ed anche l’organizzazione a Roma il giorno del voto di una grande manifestazione contro la guerra, ci sarebbero di grande aiuto.

Arriviamo così al punto conclusivo che vorrei toccare. Mi chiedo: il nostro Partito oggi è nelle condizioni di fare tutto questo? Qual è lo stato del Partito?
Non intendo qui toccare in dettaglio il tema della Sinistra Europea: in altre occasioni ho già espresso le mie riserve, che peraltro riconfermo. Nel merito, è stato annunciato un percorso per l’autunno: lì sarà la sede per discuterne. E noi, come area programmatica Essere Comunisti, porteremo il nostro contributo.
Tuttavia, voglio enunciare sin d’ora alcuni quesiti, poiché vedo tutta la proposta avvolta in una grande confusione. Si dice che, con la costituzione della Sezione Italiana della Sinistra Europea, si dà vita ad una nuova soggettività politica. Mi chiedo: questa nuova soggettività politica è un partito? Se è un nuovo partito, che fine fa Rifondazione? Se non è un nuovo Partito, che cos’è? Quali sono le sedi dove si prendono le decisioni? Decideranno gli iscritti? Vi saranno organismi politici in ogni città? Si costituiranno circoli sul territorio? Vi sarà un portavoce nazionale? Dei portavoce sul territorio? E se così fosse, si produrrebbero ovunque dei “doppioni”, con il rischio di vederli uno in conflitto con l’altro? Se consideriamo tutto ciò nel contesto di una situazione in cui già facciamo fatica a rafforzare, radicare e tenere assieme in modo civile il nostro Partito, si comprenderà tutta la mia perplessità. Ma avremo modo di parlarne.
Detto questo, vorrei in conclusione menzionare – poco tempo dopo (45 giorni) le elezioni politiche in cui Rifondazione ha registrato, in particolare al Senato, un buon risultato – un esito delle elezioni amministrative assai deludente. In alcune realtà arretriamo addirittura rispetto alle amministrative del 2001. A Milano, Napoli, Roma i voti che raccogliamo sono meno della metà di quelli ottenuti poche settimane prima. In Sicilia, per la prima volta nella storia del Prc, non eleggiamo nessun deputato regionale. E’ un campanello d’allarme che dovrebbe indurci ad aprire una riflessione approfondita sullo stato del partito, anche perchè al dato deludente dobbiamo associare una campagna elettorale fatta da alcuni candidati, ad esempio in una città come Roma, che denota un degrado della nostra vita interna: al punto da configurare una vera e propria questione morale. Purtroppo il segnale che viene dato oggi, quello di proporre ancora una volta una segreteria nazionale dove è rappresentata solo la maggioranza, non aiuta a creare quel clima unitario nel Partito essenziale per affrontare le tante difficoltà che abbiamo di fronte. E il dibattito e l’esito delle votazioni di questo Comitato politico nazionale ci dicono quanto le suddette difficoltà siano vaste e complesse.