CPN del 17 giugno 2006 – Intervento di GIANLUIGI PEGOLO

La relazione del segretario ha affrontato in modo esteso i nodi fondamentali dell’attuale situazione politica ma la risposta che è stata data è insoddisfacente e per molti versi elusiva. Tale elusività deriva, a mio giudizio, dalla mancata volontà di affrontare la principale difficoltà che stiamo incontrando e cioè l’inadeguatezza del governo di centro sinistra, la cui azione è fortemente ipotecata dal peso delle componenti moderate.
La soluzione a questo non marginale problema viene cercata nell’ancoraggio ai contenuti del programma per evitare arretramenti. Questa impostazione, in verità, risulta del tutto insufficiente per due ragioni fondamentali: la prima è che quel programma su alcuni temi è già in parte superato (basti pensare alla centralità che ormai assume la questione afghana, non affrontata nel testo dell’Unione), la seconda è che il programma presenta dei lati inquietanti che è inutile far finta di non vedere. Mi riferisco, ad esempio, a tutta la parte sui servizi a rete e sulla liberalizzazione dei servizi sociali in genere, dove traspare un’impostazione ultraliberista che non può essere cancellata usando l’argomento che comunque sull’acqua vi sono state delle aperture. Inoltre, non si può neppure pensare di affrontare il problema della relazione con le altre forze politiche dell’Unione separando l’attività di governo dall’iniziativa sociale, quasi ipotizzando che quest’ultima possa agire da contrappeso rispetto a vincoli ineliminabili posti dal rispetto dell’accordo di governo. Questa impostazione, prima ancora che sbagliata, è inefficace, giacché dovrebbe essere ormai chiaro che il rapporto di massa di Rifondazione Comunista è in larga misura condizionato dalla sua capacità di condizionare positivamente l’azione di governo.
In conclusione, la vera questione che andrebbe posta è quella del necessario recupero d’autonomia del nostro partito. Questo non significa volontà di rottura con la maggioranza di governo, ma ricerca di una nuova e più avanzata sintesi. In ogni caso, la ricerca dell’unità non può, in alcun modo, tradursi nella disponibilità alla subalternità.
I temi sui quali questa autonomia dovrebbe esplicitarsi sono di fronte a noi. Sono gli stessi che ha posto nella sua introduzione il segretario.

1. In primo luogo: il ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan. La soluzione che si sta profilando è insoddisfacente. Non è pensabile che il ritiro dall’Iraq possa essere compensato con il mantenimento o addirittura con l’incremento delle nostre truppe in Afghanistan. La situazione afghana, infatti, si viene configurando sempre di più come un conflitto militare non dissimile da quello che è in corso in Iraq. La lotta al terrorismo appare ormai una giustificazione priva di credibilità, data l’escalation delle operazioni militari e l’ estensione del conflitto. Inoltre, la missione ha perduto anche quel minimo riferimento all’iniziativa dell’ONU, divenendo a tutti gli effetti un’operazione della Nato. In questo contesto pensare di approvare il rifinanziamento della missione abbinandovi una mozione parlamentare di indirizzo sulla politica internazionale è null’altro che ricorrere ad un poco credibile escamotage. Non risulterebbe comprensibile a livello di massa e reciderebbe il nostro rapporto con i movimenti. L’alternativa è una sola: il ritiro entro tempi certi del nostro contingente e l’avvio di una soluzione politica del conflitto.

2. In secondo luogo: la manovra di politica economica. La dimensione della stessa (si parla oramai di qualcosa come 40-50 miliardi di euro) è così ampia da preludere ad una stretta molto forte della spesa. Se inoltre si considera che il ministro Schioppa ha esplicitamente rifiutato un intervento di politica fiscale, che per quanto riguarda il cuneo fiscale vi è una pressione a destinare l’intervento prioritariamente al sostegno del settore produttivo (anziché dei redditi da lavoro), che ricorrenti sono i riferimenti alla incontrollabilità della spesa locale risulta abbastanza prevedibile che si tratterà di una manovra mirata a tagliare in larga misura la spesa sociale, senza contenuti redistributivi e, quindi, sostanzialmente in linea con le politiche economiche praticate dagli ultimi governi. Anche in questo caso è urgente che il partito dia una segnale chiaro alla maggioranza, in due direzioni: la necessità di ridurre l’entità complessiva di tale manovra – in un quadro di rientro dal debito di più lungo periodo – e il rifiuto a interventi che vengano a penalizzare direttamente o indirettamente i bassi redditi.

3. Infine, in terzo luogo: la questione del referendum sulla riforma costituzionale. Su questo punto condivido l’impostazione assunta da Giordano ma vorrei fare delle precisazioni. Questo dibattito che si è aperto fra sostenitori del SI e del NO, accomunati dalla volontà di rilanciare dopo il referendum il confronto fra i poli per conseguire una riforma costituzionale compiuta e condivisa, è allarmante. Da un lato, crea incertezza negli elettori e pregiudica, quindi, lo stesso risultato referendario. Dall’altro, evidenzia una propensione – dura a morire e presente in entrambi gli schieramenti – a portare a termine la modifica delle istituzioni per giungere ad un assetto bipolare e maggioritario. Anch’io ritengo che vada pertanto rifiutato il ricorso, dopo il referendum, a “costituenti” e a “convenzioni” che di per sé giustificherebbero un’estesa revisione della Costituzione. Credo, però, che con più decisione dovrebbe emergere da subito il nostro rifiuto di un’impostazione presidenzialistica e maggioritaria.

Su questi temi Rifondazione deve recuperare un punto di vista critico, liberandosi dall’ossessione di sostenere a prescindere le scelte del governo. Con una posizione appiattita non si fa un buon servizio né al paese, né alla stessa coalizione, che passo dopo passo ripiomberebbe nella situazione della precedente esperienza di governo, il cui esito è a tutti noi ben presente.
Non solo. Lo stesso legame di massa del partito ne risentirebbe. In questo senso non sottovalutiamo il risultato delle recenti elezioni amministrative. Esso suona come un campanello di allarme per il nostro partito che subisce, da un lato, la concorrenza dell’Ulivo e, dall’altro, del PDCI

Dalla relazione del segretario si coglie anche la volontà di imprimere un’accelerazione alla costituzione della Sinistra Europea. Si intravede la preoccupazione per una possibile attrazione esercitata dal futuro Partito Democratico cui si pensa di contrapporre la costruzione di un altro polo. Mi sembra che non si sia consapevoli dei limiti di questa impostazione. In primo luogo, non si capisce ancora una volta quale profilo avrà questo soggetto, una volta compiuta la cesura con le culture di appartenenza. Cosa significa “soggetto radicale”? Mi torna alla mente l’enfasi immotivata che accompagnò la nascita della “cosa 1”, poi della “cosa 2” e così via. In realtà nessuno sa bene cosa sarà questo nuovo soggetto e, soprattutto, nessuno è in grado di dire se avrà appeal dal punto di vista elettorale. Mi stupisce che con disinvoltura il segretario abbia invocato – cito – un simbolo, una lista, ecc.

Gli rendo merito del fatto che, una volta tanto, si sia fatta un po’ di chiarezza sull’intendimento che muove la proposta e cioè quello di dar vita ad una soggettività che non ha nulla a che fare con l’attuale Rifondazione Comunista. Un po’ di chiarezza era necessaria. Ma chiedo ai compagni della maggioranza: esiste la benché minima sicurezza che una simile operazione si tradurrà in un successo elettorale e non invece – come temo – nell’ennesimo flop?
Se poi a questo aggiungiamo che uno schiacciamento sull’attuale governo è destinato a produrre una tendenziale omologazione delle attuali forze della coalizione, chi ci dice che la Sinistra Europea sarà in grado di reggere la concorrenza dell’Ulivo, certamente molto più consono – per profilo politico, culturale e per rappresentanza di interessi a trarre profitto – da una collocazione interna al sistema bipolare.

Un’ultima considerazione si rende necessaria sulla proposta che si è stata fatta di modifica degli organismi dirigenti. Quando il segretario a suo tempo avanzò una disponibilità alla ricostruzione di un rapporto unitario nel partito pensavo che tale proposito si sarebbe tradotto in segnali concreti. Allo stato attuale ci troviamo in presenza dell’ennesima proposta di segreteria “omogenea” che esclude le minoranze. Un’impostazione maggioritaria che ormai da diversi anni connota lo stile di direzione politica del partito. Ma c’è di più: nella attribuzione degli incarichi istituzionali le minoranze sono state totalmente emarginate. Questi segnali circa la credibilità delle profferte unitarie sono assai significative. Va da sé che non vi siano le condizioni per approvare la proposta di segreteria che c’è stata annunciata.