CPN del 17-18 settembre 2005: intervento di CLAUDIO GRASSI

CLAUDIO GRASSI – Direzione Prc
INTERVENTO AL CPN DEL 17-18 SETTEMBRE 2005

La situazione politica nella quale teniamo questo Comitato politico nazionale vede un accentuarsi della crisi della coalizione di governo e un ulteriore sfaldamento del suo blocco sociale di riferimento che l’aveva fatta vincere e, nei primi anni, sostenuta. Significativa mi è sembrata, dopo la presa di distanza della Cisl, della Confcommercio, della Confindustria, la vera e propria operazione politica lanciata nel corso dell’estate da Mario Monti, sponsorizzata significativamente non solo dai settori che prima richiamavo, ma anche dal Corriere della Sera.
Io credo sarebbe un errore leggere quell’iniziativa come un fatto legato alla contingenza politica. Monti, Montezemolo e altri sanno che non vi sono né i tempi, né le condizioni per costruire una forza politica neocentrista capace di proporsi già alle prossime elezioni come una alternativa a Berlusconi. Questa operazione guarda al dopo e si muove dentro uno scenario che, dopo la sconfitta elettorale, potrebbe vedere da un lato un vero e proprio sfarinamento della Casa delle Libertà ma, dall’altro, il governo dell’Unione in gravi difficoltà su scelte rilevanti di politica estera o di politica economica.
Ecco allora l’importanza di avere pronta una ipotesi, che in quel nuovo contesto potrebbe entrare in campo e che, tagliando l’ala sinistra dell’Unione e inglobando la parte moderata del centrodestra, potrebbe costruire quella coalizione che Monti propone e che già oggi, nonostante non lo dicano per opportunità, ha numerosi sostenitori anche nella componente moderata dell’Unione.
Certo si tratta di un progetto che viaggia su scenari che possono anche non realizzarsi, ma ritengo sarebbe un errore non coglierne la forza intrinseca e quindi sottovalutarne le possibilità di concretizzazione.

In questo ragionamento c’entra qualcosa la proposta di legge elettorale avanzata dalla Casa delle Libertà? Sì, ma solo in parte. C’entra per quanto riguarda l’Udc che, guardando con interesse a questo progetto, ritiene che sarebbe reso più agevole con un sistema elettorale proporzionale. Mentre non c’entra nulla per gli altri partiti della CdL che, come è del tutto evidente, vedono come fumo negli occhi questa ipotesi e propongono una nuova legge elettorale per tentare di mettere assieme i cocci di una coalizione impazzita e in ogni caso (nell’ipotesi probabile della sconfitta) cercare di perdere con uno scarto di seggi inferiore rispetto a quello che si determinerebbe con la legge attuale. Quindi i motivi che stanno alla base della proposta di legge elettorale del Polo – sia quelli più legittimi dell’Udc, sia quelli più truffaldini degli altri partiti – non possono che vederci nettamente contrari.
Abbiamo fatto bene a dirlo, e facciamo bene a continuare a dirlo: il Polo tenta questa operazione per ricompattarsi e per non subire una débâcle disastrosa.
Così come abbiamo fatto bene a denunciare che si trattava di un sistema proporzionale con l’imbroglio non tanto per lo sbarramento al 4%, che pure noi condividiamo (visto che proponiamo il modello tedesco che prevede lo sbarramento al 5%), quanto per l’annullamento dei voti di chi non arriva al 4%, che si configura come una vera e propria truffa capace di ribaltare il risultato elettorale. Non sfugge a nessuno che, avendo tutti percepito che questo cambio di legge elettorale Berlusconi lo vuole fare per salvarsi, vi è nel Paese un sentimento contrario diffusissimo.
Trovo quindi perfettamente logico che la maggioranza dell’Unione, la quale ha fatto dell’antiberlusconismo il suo vero e unico collante, reagisca come ha reagito.
Questo non toglie che io abbia provato un senso di disagio, l’altra sera, guardando Porta a Porta e sentendo Tabacci spiegare che il proporzionale è meglio perché significa una-testa-un-voto. Mentre Tabacci si diceva d’accordo con le obiezioni dell’Unione e disponibile ad eliminare lo sbarramento del 4%, Pecoraro Scanio gli replicava illustrandogli le virtù del maggioritario!!
Credo che queste affermazioni di Pecoraro Scanio siano alquanto sconcertanti, così come trovo grave quanto ha detto ieri Caldarola dei Ds, secondo il quale «siamo contro questa legge elettorale perché sono in gioco due idee contrapposte del sistema politico: l’Unione è per il maggioritario e questa legge è proporzionalista». Queste affermazioni sono irricevibili, ma non ci sorprendono più di tanto, considerato che su questa stessa lunghezza d’onda si sono ripetutamente pronunciati anche Prodi, Fassino e D’Alema.

Ma da Rifondazione comunista mi sarei aspettato qualcosa di più di quanto detto dalla maggioranza dell’Unione.
Mi sarei aspettato che, oltre a denunciare il carattere truffaldino di una parte di questa proposta di legge, il nostro Partito cogliesse l’occasione per denunciare il carattere ultratruffaldino della legge attuale, che ha consegnato all’Udc (3.9% dei voti) ben 70 eletti e al Prc (5,1%) appena 14 eletti.
Mi sarei aspettato quindi che, oltre a denunciare la strumentalità dell’iniziativa del Polo, ci fossimo fatti carico di chiedere all’Unione di non limitarsi a gridare «al lupo! al lupo!», ma di rilanciare altresì subito una proposta di legge elettorale priva dei caratteri truffaldini di quella del Polo e al tempo stesso capace di eliminare i disastri provocati da dieci anni di maggioritario: una proposta che, per quanto ci riguarda, è la legge proporzionale sul modello tedesco.

Questo mi sarei aspettato, e ritengo sia stato un errore non aver colto la palla al balzo, perché ciò ci ha appiattito sulla linea dell’Unione, semplicemente difensiva del maggioritario. Credo anche – se vogliamo essere franchi tra di noi – che la possibilità di discutere di legge proporzionale con questa coalizione di centro-sinistra, dopo le elezioni, sia molto remota.
Insomma, vedo in questa linea, che ci ha visti muoverci all’unisono con le altre forze dell’Unione, una carenza di autonomia che mi preoccupa per il fatto in sé e anche per quello che può voler dire per il futuro.

Per completare la mia riflessione sul quadro politico, vorrei sviluppare un breve ragionamento sull’Unione. La mia valutazione su questo schieramento è decisamente più pessimistica di quella che ci ha proposto Bertinotti nell’introduzione a questo Cpn. Il segretario ha detto che vede l’irrompere nell’Unione di taluni elementi di discontinuità. Ebbene, io francamente questi elementi non li vedo.
Certo, vedo anch’io il ruolo importante che hanno svolto e che possono continuare a svolgere le grandi organizzazioni di massa come l’Arci o la Fiom e, seppure con sempre maggiore incertezza, la Cgil. Da questo punto di vista è decisivo per la Cgil stessa, per la Fiom e per la sinistra sindacale, che le due tesi alternative presentate da Rinaldini e sostenute anche da altri dirigenti della Cgil trovino il consenso più ampio possibile, ed è bene che tutto il Partito si impegni in tal senso.
Dicevo del ruolo importante che possono svolgere queste organizzazioni, i movimenti. Va riconosciuto anche che altri partiti o componenti di partito della sinistra critica (i Verdi, il Pdci e la sinistra Ds, con i quali peraltro manteniamo una divergenza circa la modalità con cui intendono costruire quella che noi chiamiamo «sinistra di alternativa») hanno spesso sostenuto nel Paese e in Parlamento battaglie convergenti con le nostre. Ma tutto questo non è stato sufficiente a produrre quella discontinuità nei comportamenti dell’Unione che sarebbe necessaria.
Vorrei ricordare al riguardo alcuni episodi esemplificativi:

– Su una vicenda decisiva come le cosiddette misure anti-terrorismo varate da questo governo, non solo non vi è stata una proposta alternativa, ma vi è stato un voto bipartisan.

– Sul ritiro delle truppe dall’Iraq è ormai da tempo che non si riesce più a scrivere da nessuna parte la parola «immediato» e quindi nemmeno a proporre tale posizione.

– Sulla legge 30 al massimo si sente parlare di qualche modifica, e sulle riforme in materia di economia e lavoro l’unica cosa precisa che Prodi ha proposto in questi mesi è una misura che non solo non ci può vedere favorevoli, ma che è quanto di meno «discontinuo» si possa proporre rispetto agli anni Ottanta e Novanta, e cioè la riduzione del costo del lavoro.

Se poi dalle semplici dichiarazioni passiamo ai documenti ufficiali, la mia preoccupazione aumenta. Soprattutto se pensiamo al tema più complesso (che io prevedo sarà il vero tallone d’Achille del futuro governo Prodi): la politica estera.
Nel suo documento Prodi non dice solo che bisogna tenere saldi legami con gli Stati Uniti: ciò che più mi allarma è che nel documento sottoscritto da tutti i partiti dell’Unione – quindi anche da noi – vi è un punto quanto meno pericoloso, che recita: «Il rispetto degli impegni derivanti dai Trattati e dalle Convenzioni internazionali liberamente sottoscritti è un elemento essenziale della nostra azione». Mi sembra chiaro il riferimento all’Alleanza atlantica e all’Onu che purtroppo, come mostra l’esperienza passata, possono fare o avallare azioni di guerra.

Ecco perché io penso che quella cosa che Bertinotti giustamente propone anche nel programma, e cioè che bisogna rompere la legge del pendolo, sia difficilmente realizzabile. Per ottenerlo sarebbe necessaria una discontinuità vera, una cesura rispetto alle politiche praticate in passato dal centrosinistra non solo in Italia ma in tutta Europa: una cesura che, allo stato, non è data. Al momento non vedo questo contesto, così come – altro elemento che non mi induce a una valutazione ottimistica – dobbiamo prendere atto che questo governo crolla e questo blocco sociale si sfalda non sulla base di una mobilitazione politica e sociale dell’opposizione, sempre evocata e mai praticata, ma sulla base delle proprie contraddizioni interne e dell’incapacità di dare risposte alla grave crisi economica che attraversa il Paese.
Insomma, non vedo una volontà politica maggioritaria nell’Unione che alluda ad una vera svolta – nè una forza dei movimenti nel Paese in grado di imporgliela. Noi, che comunque non possiamo né vogliamo sottrarci a un deciso impegno per cacciare Berlusconi, viviamo dentro questa contraddizione. Io continuo a ritenere che sarebbe bene discutere e squadernare le differenze prima delle elezioni e non dopo. Le eventuali difficoltà che incontreremmo nel registrare prima delle elezioni la non-praticabilità di un pieno accordo – difficoltà che ho ben presenti – credo sarebbero di gran lunga meno gravi, per il Partito e per tutta la sinistra, del dover prendere atto, all’indomani dell’entrata in carica del futuro governo, che quell’accordo non regge e che si determina di nuovo una rottura con il conseguente rischio di un nuovo ritorno delle destre alla guida del Paese.
Adesso si dice: ci sono le primarie nelle quali immettiamo i nostri contenuti programmatici e poi si discuterà del programma e cercheremo di ottenere il risultato più avanzato possibile. Non ho dubbi che faremo tutto il possibile per ottenerlo, ma il fatto che ci riusciremo non mi pare affatto scontato.

Concludo sulle primarie.
Vorrei dire al compagno Giusto Catania, che è intervenuto denunciando casi di compagni non attivi sulle primarie, che a me è capitato quest’estate, in una delle Feste di Liberazione, di concludere un dibattito invitando tutti ad andare a votare Bertinotti, dopo che un consigliere regionale del Prc, sostenitore della prima mozione, aveva sostenuto che le primarie sono «un’inutile americanata».
Sta di fatto che le firme raccolte per la candidatura sono in possesso del Dipartimento Organizzazione e che, tanto per fare un esempio, la Calabria, dove la mozione «Essere comunisti» ha la maggioranza assoluta, ha consegnato ben 5000 firme per la candidatura di Bertinotti, piazzandosi tra le prime regioni.
Certo, noi abbiamo un’opinione critica nei confronti di questo strumento e crediamo sia legittimo mantenerla. Non ritengo, come qui è stato sostenuto, che le primarie siano utili perché farebbero aumentare la partecipazione e metterebbero il «popolo» in condizione di decidere. Io sono propenso, piuttosto, a pensare che ci troviamo di fronte a un ulteriore rafforzamento della personalizzazione della politica, delle tendenze presidenzialistiche, delle logiche maggioritarie. Ritengo dannosa l’estensione delle primarie a tutte le consultazioni elettorali, una tentazione che, purtroppo, viene prendendo piede. Credo che accettare questo processo non ci aiuti nella battaglia contro la tendenza in atto di concentrare sempre maggiori poteri nelle persone (premier, «governatori» o sindaci) e negli esecutivi.
Penso che queste mie riflessioni critiche siano legittime. Tra l’altro sono sostenute anche da studiosi e compagni con i quali abbiamo condiviso e condividiamo numerose battaglie (penso, solo per fare alcuni nomi, a Chiarante, Rossanda, Melchionda), mentre critiche non meno aspre provengono anche dai movimenti (o da parti di movimenti) e dalla stessa sinistra Ds.

Detto questo, sappiamo distinguere la critica e il mantenimento di un convincimento dall’impegno e dal lavoro per il Partito. Certo, aver letto in luglio sul Corriere della Sera che Massimo Fagioli, il proprietario della libreria nella quale Rifondazione ha iniziato la sua campagna per le primarie, suggeriva a Bertinotti di «liberarsi di quelli dell’Ernesto. Dei leninisti e dei trotzkisti. Poiché è roba vecchia e pesante» non ci aveva entusiasmato. Ma anche questo è alle nostre spalle e vogliamo guardare avanti. Sappiamo che a questo punto, favorevoli o contrari, siamo in campo e che per tutti, non solo per una parte, è importante ottenere il massimo risultato perché ciò sarà utile per il Partito, comunque la si pensi, e per la successiva discussione programmatica.