CPN del 16-17 dicembre 2006 – Intervento di Gianluigi Pegolo

Non vi è dubbio che vi fosse la necessità di convocare una conferenza di organizzazione, se non altro per lo stato – a me pare preoccupante – in cui versa il partito.

E’ anche vero che questa conferenza ha avuto una genesi singolare. Doveva essere il luogo di discussione sulla sinistra europea, una sorta di assise costituente. e alla fine è diventata, almeno in parte, un’altra cosa. Il punto tuttavia non è questo. Perché anche con questi limiti essa potrebbe svolgere una funzione positiva, ma io dubito seriamente che sarà così.

In primo luogo per il percorso che si è scelto. Quando ho sentito che si voleva fare una conferenza che non riproducesse schematiche divisioni congressuali mi sono illuso che vi fosse la possibilità di un confronto vero, animato dall’esigenza di rilanciare l’attività del partito. Per questo, come ho anche detto intervenendo alla scorsa riunione della direzione, auspicavo un documento aperto, che raccogliesse i contributi di tutte le varie sensibilità. Non sono ingenuo, so bene che vi sono fra noi serie differenze, sia sull’analisi della fase sia sulla proposta, ma ritenevo e ritengo che fosse possibile quantomeno partire da un’analisi rigorosa e documentata sullo stato del partito, per avanzare una serie di proposte, magari espresse per formulazioni alternative. Un percorso – insomma – aperto e partecipato.

Non è stato così. La scelta di porre alla base della discussione un documento di maggioranza preclude questo percorso. Non solo, una volta fatta questa scelta si è, di fatto, sollecitata la simmetrica presentazione di altri documenti. Cosa in sé comprensibile, dato che quel documento, non solo non è un documento di sintesi, ma neppure ha tentato di esserlo. Il fatto, poi, che non vi sarà il classico meccanismo di conta congressuale mi consola molto poco. Semplicemente perché partendo con queste limitazioni il confronto sarà inevitabilmente blindato o condizionato da scelte di posizionamento, anziché dall’esigenza di un confronto rigoroso. Esprimo qui, quindi, in primo luogo un dissenso di metodo.

Accanto a questo vi è però anche un dissenso di merito rispetto all’impostazione e ai contenuti del documento proposto dalla maggioranza. Mi aspettavo – quanto meno – uno sforzo di apertura, ma questa non vi è stata. Il documento appare sostanzialmente autoassolutorio, non sviluppa una vera analisi dello stato del partito e rimanda gli elementi critici a ragioni di natura metapolitica, senza affrontare le precise responsabilità derivanti dalle scelte fatte. Non solo, ma si imputano le nostre evidenti carenze all’incomprensione delle proposte innovative introdotte a suo tempo. Si ripete, così, un argomento che per troppe volte ho sentito in questi anni. In altre parole, di fronte all’innovatività del gruppo dirigente si porrebbe un partito poco ricettivo e forse – ma non so se questo pensino i compagni che l’hanno scritto – delle minoranze che costituiscono un insopportabile piombo nelle ali. Su questa base è assai difficile produrre sintesi, ma anche semplicemente convergenze. Ma al di là di quest’impostazione generale vi sono alcuni nodi che rendono questo documento non condivisibile.

Il primo – e per molti verso il più paradossale – è che in questo documento la riorganizzazione del partito viene totalmente decontestualizzata dalla realtà sociale e politica del paese. In questo documento il fatto che siamo impegnati in un ruolo di governo passa sostanzialmente in secondo piano. Che questa esperienza stia incontrando una preoccupante perdita di consensi, non viene neppure richiamata? Che si stia per aprire una fase ancora più difficile in cui sono evidenti le propensioni di settori importanti della maggioranza ad imprimere una svolta in senso moderato all’azione di governo, non viene neppure considerato. E, soprattutto, che questo contesto influenzi non poco il partito dal punto di vista dei consensi e dell’iniziativa appare del tutto irrilevante. Su che basi – mi chiedo – si può allora discutere? Come non vedere che la crisi della militanza, la tendenza all’istituzionalizzazione, la difficoltà di relazione con parte dei movimenti trovano in questa situazione una sollecitazione? E ancora, su che basi si può ragionare del partito oggi in questo contesto se non si considera la distanza che separa la condizione materiale di milioni di cittadini rispetto a quanto noi – anche a prezzo di uno sforzo encomiabile – riusciamo ad ottenere attraverso l’impegno di governo?

Accanto a questa decontestualizzazione, vi è nella proposta una reticenza sostanziale ad affrontare le questioni fondamentali di questo partito, anche per ciò che concerne la sua organizzazione. Ne affronterò solo una. E’ inutile discutere di verticismo, sclerotizzazione delle componenti, centralismo se non si affronta seriamente un nodo e cioè la scarsa democrazia che vige nel partito. Siamo un partito che non si presenta particolarmente virtuoso a tale riguardo. Su 60 e più parlamentari le minoranze ( che rappresentavano all’ultimo congresso il 40 % dei voti) hanno ottenuto 6 rappresentanti. O qui qualcuno ci dimostra che le risorse di cui dispone il partito non sono concentrare nella quasi totalità nelle fila della maggioranza e di figure comunque indicate dalla maggioranza o ci troviamo di fronte ad un enorme problema democratico. E’ per me molto triste ricordare qui che ieri ci siamo trovati a discutere della rimozione di una compagna che doveva essere esclusa dal suo incarico perché facente parte di un’area che non ha appoggiato la finanziaria. Per fortuna la proposta della segreteria è stata poi ritirata in virtù di un pronunciamento corale dei compagni. Ma il problema resta ed è per me motivo di grande inquietudine ricordare che nella stesa riunione si è deciso, dopo aver tentato di commissariare il regionale del Molise, di commissariale la federazione di Campobasso, rea non si capisce bene di cosa. Alcuni lamentano comportamenti scorretti, altri richiamano i cattivi risultati elettorali del partito. Io mi limito a constatare che si tratta di una delle poche federazioni rette dalla minoranza. Non credo che con queste scelte faremo passi avanti. E penso sarà molto difficile per il gruppo dirigente rassicurare il partito – in questa conferenza – che l’agibilità politica è garantita anche a chi non si colloca nella maggioranza.

Ma vi è infine un terzo elemento, politicamente decisivo, che riguarda la terza parte di quel documento, il giudizio cioè che si da della Einistra europea, il percorso che si ipotizza e il suo sbocco. Cari compagni, una discussione sul partito ha senso se l’obiettivo è far durare il partito, rafforzarlo ed espanderlo. Ma se non è dato sapere cosa ci attenderà di qui a qualche mese o a qualche anno, come pensiamo di impegnare i compagni in un rilancio dell’organizzazione? So bene che nel documento si ribadisce il mantenimento di Rifondazione Comunista, ma questo non è sufficiente, perché i segnali che provengono da settori della maggioranza e dallo stesso gruppo dirigente non sono per nulla tranquillizzanti. Non mi pare che parlare della Sinistra Europea alludendo ad un soggetto politico d’ispirazione socialista sia particolarmente rassicurante. Non mi pare che rivendicare per la Sinistra Europea un proprio simbolo e una propria lista sia molto incoraggiante per chi dovrebbe impegnarsi a sostenere il rilancio del partito. In questo scenario resta intatto il sospetto che si voglia ripercorrere la strada di Izquierda Unida e cioè il mantenimento formale del partito e il suo svuotamento sostanziale. Il documento non ci dice nulla di chiaro a proposito.

Ho concluso compagni. Come dicevo, avrei voluto un percorso unitario e partecipato intorno ad un obiettivo comune esplicito e cioè un vero rilancio del partito. In questo percorso non trovo a tale riguardo delle garanzie. Per questo, non aderirò al documento della maggioranza, neppure per presentare degli emendamenti, come invece hanno deciso di fare la maggioranza dei compagni che aderiscono alla mia stessa area. Credo sia la prima volta che assumo una posizione diversa e proprio il legame che mi tiene unito ai compagni della mia area mi spinge a non presentare un documento alternativo. Ma il mio dissenso di merito e di metodo resta sostanziale. Nell’ambito di questa conferenza cercherò di fornire anch’io un contributo e mi auguro che nel corso della stessa conferenza sia possibile coinvolgere compagni di tutte le sensibilità in uno sforzo unitario, ma il passaggio che stiamo per compiere in questo comitato politico nazionale richiede l’esplicitazione di posizioni chiare e l’adozione di comportamenti lineari. La ricerca dell’unità richiede, oggi più che mai, la chiarezza.