CPN del 14-15 ottobre 2006 – Intervento di LEONARDO MASELLA

Il compagno Zipponi ha apprezzabilmente invitato ad un dibattito franco e sereno e noi con grande franchezza e serenità affermiamo di non condividere il giudizio sostanzialmente e spesso enfaticamente positivo che emerge come posizione prevalente del Partito sulla finanziaria e più in generale sulla politica del governo. Non lo condividiamo sia perché è sbagliato nel merito sia perché non è in grado di produrre nessuna mobilitazione sociale, di cui ci sarebbe grandissimo bisogno per cambiare le tante, troppe cose che non vanno e per controbilanciare le critiche da destra e da parte confindustriale che stanno venendo.
Tuttavia, al di là delle differenze di giudizio sulla finanziaria, spesso trasversali alle mozioni congressuali, ciò di cui ci sarebbe bisogno, oggi, da questo CPN, è un forte allarme, un segnale di lotta, di mobilitazione nel Paese per modificare profondamente da sinistra la finanziaria e complessivamente la linea di politica economica e sociale del governo, la più fedele in Europa ai parametri liberisti di Maastricht e al patto di stabilità dell’Unione Europea, come dimostra il rifiuto e la sconfitta di entrambe le proposte che il partito ha avanzato, la stabilizzazione del debito e la spalmatura su due anni.
Pregi e difetti, ha detto Zipponi, ma la domanda, per dare un giudizio complessivo e prevalente, è quanti pregi e quanti difetti. Oltre al fatto che l’unico pregio rischia di svanire. I piccolissimi aumenti che avrà una piccola parte di lavoro dipendente per il ripristino delle aliquote Irpef precedenti alla riforma Berlusconi, che pure nel suo solo aspetto simbolico non va disprezzato, viene già annullato dagli aumenti di tutte le tariffe nelle bollette che arrivano in questi giorni e rischia di essere rovesciato quando arriveranno le addizionali Irpef di Comuni e Regioni. E questa sarà l’unica strada, altrimenti l’alternativa è l’ulteriore dismissione e privatizzazione dei servizi sociali locali, nella linea d’altronde coerente del progetto di legge Lanzillotta che nella relazione di accompagnamento giunge a criticare il governo Berlusconi perché non ha privatizzato abbastanza (dunque una critica da destra alla destra), e coerente con le affermazioni di Prodi sulla Telecom che ha rivendicato orgogliosamente di essere stato l’autore della privatizzazione anche di fronte al suo evidente e catastrofico fallimento.
Per non parlare della gravissima firma (gravissima sia dal versante della Cgil, sindacato a noi vicino, sia dal versante del governo, di cui facciamo parte) del memorandum segreto di intesa per l’innalzamento dell’età pensionabile. Cosa aspettiamo a denunciare questa vergogna ? Per non parlare inoltre, fuori dalla finanziaria, del rifiuto persino del modesto superamento della Legge 30, dei Cpt o della Legge Moratti, come previsto nello stesso programma dell’Unione. Questo è lo stato dell’arte del governo Prodi a pochi mesi dal suo insediamento. Vanno confermandosi con una impressionante rapidità tutte le previsioni di involuzione moderata e liberista del centro-sinistra già evidente prima delle elezioni che sconsigliavano il nostro ingresso prima nell’Unione e poi nel governo, involuzione che si è accresciuta, non ridotta, dopo le elezioni e la formazione del governo.
Per questo motivo servirebbe oggi, oggi non domani, un segnale di lotta. Per far riuscire la manifestazione del 4 novembre per abrogare la legge 30, per cancellare i tagli agli enti locali (cioè ai servizi sociali), per ridurre drasticamente le spese militari, per impedire la prossima, ennesima controriforma delle pensioni. E ci sarebbe bisogno di un segnale di ripresa forte di mobilitazione per la pace, contro la guerra, innanzitutto per cancellare dalla finanziaria il gravissimo articolo 188, che non è stato un errore tecnico perché è stato pubblicamente rivendicato da D’Alema per impedire la discussione in Parlamento sul finanziamento sulle missioni militari all’estero, come è avvenuto con il governo Berlusconi. Siamo passati dalla discussione in Parlamento di ogni missione quando il centro-sinistra era all’opposizione all’accorpamento in una unica votazione, come è avvenuto a luglio in violazione dello stesso programma dell’Unione, fino al tentativo, ora, di impedire qualsiasi discussione parlamentare. Proposta indecente, inaccettabile, che se non venisse eliminata pregiudicherebbe tutta la finanziaria. Bisogna rilanciare il movimento per il ritiro dalla guerra in Afghanistan anche per evitare che il governo di cui facciamo parte calpesti ancora l’articolo 11 della Costituzione, perché questo sta accadendo. Se è una guerra, come oggi tutto il partito afferma anche in conseguenza della coraggiosa lotta degli 8 parlamentari dissidenti e della eccezionale assemblea del 15 luglio, se è una guerra, diversamente dal Libano (ed io sono d’accordo: due cose molto diverse, fino ad ora), in Libano stiamo rispettando il dettato costituzionale, in Afghanistan lo stiamo calpestando. E’ così o non è così ? Chiedo una risposta.
Dunque ci sarebbe bisogno di un forte segnale di lotta nel Paese. Ma se da parte del nostro partito emerge un segnale prevalentemente positivo sulla finanziaria e in generale sul governo, mi dite voi come si fa a mobilitare e a far riuscire le manifestazioni e le lotte ? Ed io non sto sostenendo che bisogna uscire dalla maggioranza di governo, dico che si può e si deve starci criticamente, in modo conflittuale sia in parlamento che nella società. Altrimenti non si risponde alla crescente e drammatica esigenza di giustizia sociale che c’è nel Paese, anzi al contrario si produce una delusione delle speranze e un crollo di fiducia del nostro elettorato popolare (e noi siamo i più esposti) e contemporaneamente l’opposizione sociale a questo governo si rivolge a destra (a Berlusconi, a Casini, alla destra sociale al sud, alla Lega al nord), producendo per questa via un ritorno di Berlusconi o peggio. Perché solo il ceto politico e sindacale di sinistra può apprezzare la tendenza redistributiva solo simbolica delle nuove aliquote Irpef, ma la nostra gente, il popolo, i lavoratori ci giudicheranno e presto dalle loro concretissime condizioni materiali, non dalla propaganda dei nostri sbagliati manifesti e spot pubblicitari.
Infine sulla Sinistra europea. Prendiamo atto positivamente della affermazione di De Cesaris e di Giordano sul mantenimento del nome del partito, in risposta a chi, autorevolmente, ha proposto per la prima volta (questo è il fatto nuovo ed eclatante) il cambiamento del nome con la cancellazione dell’aggettivo “comunista” e lo scioglimento del partito nella Sinistra europea. Ma non è affatto sufficiente. Innanzitutto perché il segretario non ha chiarito se, pur mantenendo il nome e il simbolo, pensa ad una presentazione alle prossime elezioni senza il nostro simbolo e con quello della Sinistra europea. Chiedo formalmente di chiarire questo punto nelle sue conclusioni, altrimenti una reticenza su questo aspetto metterebbe tutto il partito in un serio allarme. Chiedo un chiarimento non perché per principio sia contrario a presentazioni elettorali diverse dal simbolo comunista in ogni paese del mondo e in ogni comune d’Italia o perché sia assillato da una cultura elettoralistica ed istituzionalistica che non mi appartiene, ma perché nella situazione concreta italiana la cancellazione del simbolo comunista sarebbe un suicidio elettorale.
In secondo luogo, non basta affatto la rassicurazione sulla simbologia. Il problema vero è che il nostro partito va rilanciato perché vive una situazione di gravissima sofferenza politica ed organizzativa, come si è visto anche con il fallimento della manifestazione conclusiva della Festa nazionale. E’ un lento suicidio l’operazione di diluire di fatto Rifondazione Comunista nella Sinistra europea, mantenendogli cossuttianamente solo il nome, il simbolo, qualche liturgia tradizionale e qualche altro specchietto per le allodole e contemporaneamente assumendo sempre più una linea governista a tutti i costi e dedicando le nostre poche forze per costruire non il nostro Partito ma la Sinistra europea.
Peraltro, l’avvio settembrino è stato alquanto fallimentare, come dimostrano gli ultimi “eventi” che avrebbero dovuto lanciare la cosiddetta fase costituente: la non riuscita della manifestazione conclusiva della Festa, il fallimento dell’assemblea dell’Angelicum, il rifiuto di Tortorella e Rinaldini. Folena vuole fare, giustamente dal suo punto di vista, un nuovo partito socialista (di sinistra). Su questo terreno ora arriva anche Fabio Mussi e la sinistra Ds. E noi ? Noi non dovremmo puntare ad un nuovo partito o cosa simile, ma alla mobilitazione unitaria e coordinata nella società di tutte le forze politiche, sociali, di movimento della sinistra di alternativa, su contenuti coerenti con il NO alla guerra e al liberismo, di cui si sente una necessità enorme. Ma questo nuovo movimento ha bisogno del forte rilancio della rifondazione comunista, della rifondazione di un moderno partito comunista, non solo di nome ma soprattutto di fatto, capace cioè di essere al centro e promotore dei diversi movimenti, anche embrionali o di opinione, contro il capitalismo in tutte le sue odierne e anche inedite manifestazioni (sfruttamento e alienazione dei lavoratori, mercificazione totalitaria, guerra, razzismo contro i migranti, riduzione degli spazi democratici, devastazione ambientale, TV spazzatura, ritorno di valori maschilisti). Ma per fare questo c’è bisogno di un’altra linea politica e di un’altra gestione del partito che spero emergano dalla imminente conferenza di organizzazione in cui le diverse opzioni in campo, anche diverse dalle mozioni dell’ultimo congresso, possano confrontarsi limpidamente e serenamente.