Cpe all’italiana «contro la precarietà»

Un contratto unico a tempo indeterminato, ma articolato in più fasi e con libertà di licenziamento per i primi tre anni. Se non è un Cpe in salsa italiana, poco ci manca. Da ieri, il programma del candidato leader del partito democratico, Walter Veltroni, parla anche di «precarietà». E lo fa con l’imprimatur pubblico alla proposta presentata dall’ex ministro Tiziano Treu, presidente della commissione lavoro del Senato e padre nel 1997 della riforma del mercato del lavoro conosciuta come «pacchetto Treu».
L’occasione era ghiotta (un convegno dal titolo «Patto tra le generazioni e lotta alla precarietà?» organizzato a Milano dal comitato che sostiene Veltroni alla guida del Pd), i protagonisti noti. La proposta, in sé e almeno per gli addetti ai lavori, niente affatto nuova, riprendendo nella sostanza quella già da tempo formalizzata dall’economista Tito Boeri sul suo sito lavoce.info. Una proposta che, di contrasto alla precarietà, pone la filosofia della «flessibilità in entrata» (a sua volta figlia dell’assunto per cui i diritti per i precari si possono allargare, riducendoli però per tutti). Che rimette in discussione l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Che ricorda piuttosto da vicino, nella sostanza, il Cpe (contratto di primo impiego) francese, che pure prevedeva la libertà di licenziamento senza giusta causa per i dipendenti sotto i 26 anni, e che l’allora presidente Chirac fu costretto a ritirare in seguito alla clamorosa protesta dei giovani studenti. E che, infine, forse non per caso incontra le resistenze non solo dei sindacati, ma anche del ministro Cesare Damiano, esplicitate in quel «non sarò il ministro che riporta la discussione sull’articolo 18». E di converso le aperture di Maurizio Sacconi, senatore di Forza Italia e ex sottosegretario al lavoro, che chiosa: «Definiamo insieme un iter parlamentare che porti a questo risultato condiviso».
Vale la pena scendere nei dettagli. La via di uscita dalla precarietà sarebbe dunque consentita dal garantire la «flessibilità in entrata». Non che oggi sia scarsa, tra contratti a tempo determinato reiterati a piacere, di collaborazione, a progetto e quant’altro. E nemmeno sparirebbero le forme contrattuali precarie ad oggi esistenti. «Non aboliamo nessuna figura contrattuale», chiarisce Boeri. Ma l’obiettivo di questo nuovo «contratto unico a tempo indeterminato» sarebbe quello di assorbire le altre forme esistenti e arrivare al 90% di assunzioni a tempo indeterminato.
Il contratto, da subito a tempo indeterminato, si articola in tre fasi: un periodo di prova di sei mesi, seguito, dal sesto mese al terzo anno dopo l’assunzione, da un periodo di «inserimento», durante il quale il lavoratore può essere licenziato liberamente, godendo soltanto dell’indennizzo (da due a tre mesi di salario) nel caso di licenziamento economico. Il contratto, di «inserimento» e «reinserimento», sarebbe accessibile ai lavoratori di tutte le età. Potrebbe dunque succedere che un’azienda assuma un lavoratore, provveda a licenziarlo entro i tre anni, per poi reiterare il percorso a piacere? Potrebbe certo succedere, anche se, argomenta Boeri, «il costo in termini economici sarebbe comunque elevato, e l’azienda potrebbe trovarsi a dover pagare fino a un anno di retribuzione al dipendente licenziato». La proposta di Treu e Boeri prevede anche l’inserimento di un salario rninimo.
Il contratto unico di inserimento, e la messa in questione dell’articolo 18, non piace comunque al ministro Damiano (che invita piuttosto a «proseguire sul percorso già tracciato dal protocollo del 23 luglio»), né ai sindacati, registrando la freddezza persino di Confindustria («un’utopia» lo definiva ieri il vicepresidente Bombassei). Di un’ipotesi «impraticabile» parlano sia Agostino Megale, presidente dell’Ires Cgil, che Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil. «E’ del tutto fuori luogo ritirare fuori oggi il tema dell’articolo 18, magari sotto la forma del contratto di primo impiego che lo stesso governo conservatore ha ritirato in Francia» argomenta Fammoni. Contrarie anche Cisl e Uil. E, sul fronte politico, il ministro Ferrero: «Un’ulteriore estensione del precariato per i giovani, va nella direzione contraria a quella necessaria».