«Lo sciopero è andato bene, oltre ogni aspettativa, perché il personale è esasperato: picconata dopo picconata, il governo sta abbattendo il servizio sanitario nazionale». Commenta così la straordinaria protesta dei medici il segretario nazionale della Fp Cgil Massimo Cozza: per la prima volta in Italia hanno partecipato tutte le 42 sigle del settore, da destra a sinistra, con adesioni che hanno superato il 90%. Non una semplice agitazione sindacale, ma una battaglia civile fatta propria da 150 mila medici, tecnici, veterinari, specializzandi, dirigenti: no ai tagli alla sanità; no alla devolution, che sostituisce l’egoismo all’unità nazionale; nuove risorse per rinnovare i contratti, in ritardo già da due anni.
Partiamo dal primo punto, dai tagli in finanziaria.
Il buco che si è creato a causa delle risorse negate dal ministro Tremonti è già di 13 miliardi di euro. Nell’agosto del 2001 il governo e le Regioni avevano concordato la copertura dei servizi essenziali, ma ad ogni finanziaria i soldi stanziati sono stati sempre insufficienti: il documento redatto a fine 2002 era sotto di 7 miliardi, mentre l’ultimo, quello appena approvato, aggiunge altri 6 miliardi di mancate coperture.
E così abbiamo fatto 13. Voi siete anche contrari alla devolution.
Sì, perché introdurrebbe 21 sanità regionali diverse, con il rischio maggiore per i sistemi del sud e delle isole. Un sistema universale di garanzie si basa necessariamente sulle perequazioni tra le diverse realtà, in modo che tutti i cittadini siano coperti. Basta pensare che in Basilicata la Regione riesce a coprire soltanto il 7% delle spese, mentre il 93% proviene dai fondi nazionali; in Lombardia, il 70% è coperto dalle risorse regionali. I redditi pro-capite sono diversi, ma le esigenze essenziali sono uguali. Se poi le regioni più ricche vogliono avere più servizi, ben vengano, ma l’assistenza di base deve essere assicurata a tutti.
Da tutti questi problemi nasce la vostra esasperazione.
I nostri sono problemi reali, che si vivono giorno per giorno nelle corsie. Mancano i farmaci e le strumentazioni, gli ospedali sono fatiscenti, l’igiene è insufficiente: è un vero e proprio stillicidio quotidiano. I medici e gli altri operatori, in questo contesto, non sono altro che delle pedine, dato che tutte le decisioni importanti vengono prese dagli assessori regionali alla sanità e dal loro braccio esecutivo, i direttori generali delle aziende sanitarie locali.
La nostra salute in mano ai manager.
Purtroppo, con l’aziendalizzazione estrema a cui si è giunti oggi, il fine unico dei dirigenti Asl è quello di economizzare, senza guardare alle reali esigenze dei pazienti. Noi riteniamo invece che a gestire le unità locali dovrebbero concorrere anche i medici, tutti gli altri operatori, e gli stessi cittadini. Solo così le professionalità non verranno mortificate.
Ci sono infine tutti i problemi legati al contratto non ancora rinnovato, al personale precario.
Sì, è bene ribadire che lo sciopero ha avuto soprattutto una valenza generale, di difesa della sanità come diritto garantito a tutti dalla Costituzione, però certamente un punto forte riguarda anche le condizioni del lavoro. Il governo non ha stanziato i soldi per i recuperi dell’inflazione del 2002-2003, né per il biennio successivo. Inoltre ci opponiamo ad alcune riforme volute dalle regioni: diciamo no all’orario illimitato e alla soppressione delle ore di aggiornamento. Vogliamo che venga conservato il comitato dei garanti, un organo speciale che tutela dai licenziamenti indiscriminati. Per finire, c’è la questione dei tanti precari nel settore medico, assunti per anni a tempo determinato. E dei 25 mila specializzandi che hanno scioperato con noi, unici in Europa senza un contratto. Chiediamo garanzie anche per i nuovi lavoratori.