Parla Taki, responsabile delle relazioni politiche dello Sciiri, vincitore delle elezioni
Il conteggio dei voti di domenica richiederà ancora tempo, ma l’Alleanza irachena unita già canta vittoria. E dà i suoi numeri: la lista 169 avrebbe ottenuto tra il 70 e il 90 per cento dei voti nei governatorati a maggioranza sciita. Una valanga di voti che comunque non garantirebbe i due terzi dell’assemblea necessari per eleggere il presidente e i due vice. Redha J. Taki, responsabile delle relazioni politiche dello Sciiri, il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq, che è tornato in Iraq dopo la caduta di Saddam per lavorare con gli ayatollah al Hakim, sta tessendo la trama delle relazioni. Innanzitutto per individuare il possibile alleato per raggiungere i due terzi nell’assemblea. E le preferenze non sembrano riguardare la lista sciita laica di Allawi, sospettato di voler cercare di dissanguare l’Allenza di Sistani recuperando i candidati indipendenti, non appartenenti né allo Sciiri né al Dawa (i due maggiori partiti religiosi sciiti). Le attenzioni sono piuttosto rivolte alla lista kurda. «Con i kurdi abbiamo oltre tre decenni di collaborazione, ci conosciamo bene», dice Taki. Insieme nella lotta contro Saddam di cui erano entrambi le vittime, i kurdi permettevano, tra l’altro, alle brigate al Badr dello Sciiri di penetrare in Iraq dall’Iran attraverso il Kurdistan. Un’alleanza meno facile nel dopo Saddam, visto che l’Assemblea appena eletta dovrà elaborare la costituzione ponendo le basi del futuro stato iracheno e su questo le visioni dei due schieramenti divergono tra l’impostazione secolare dei kurdi e quella islamista della lista sponsorizzata dal grande ayatollah. Per la lista 169, che si pone come forza di governo, il maggiore problema è rappresentato dall’esclusione dei sunniti che hanno boicottato le elezioni in stragrande maggioranza, perché svolte sotto occupazione. «Non possiamo trascurare i sunniti, ne abbiamo discusso nell’Alleanza, dobbiamo negoziare con loro sia la formazione del nuovo governo che la costituzione. Diversi sunniti sono presenti nella lista di Allawi, di al Yawar, di Pachachi, ma se non sarà un numero rappresentativo dovremo consultarli. A partire dai due gruppi più importanti: il Partito islamico iracheno, già presente nel Consiglio governativo, anche se poi si era ritirato (dopo l’attacco a Falluja, ndr). Lo avevamo incontrato alla vigilia delle elezioni per convincerlo a partecipare, ma temeva le minacce dei terroristi. Già da allora avevamo previsto un incontro dopo le elezioni. E poi il Consiglio degli Ulema, su posizioni più radicali, decisamente contro le elezioni, a causa dell’occupazione. Anche con loro bisogna dialogare, ho appena visto un loro esponente per fissare un incontro con uno dei loro leader per domani». Il terreno di trattativa tuttavia sarà limitato visto che i consiglio degli Ulema sostiene che questa elezioni sono illegali e che «l’assemblea e il governo che usciranno non avranno la legittimità per scrivere la costituzione e concludere accordi di sicurezza ed economici», facciamo notare. «Sì, ma nello stesso comunicato, il Consiglio degli ulema sostiene che rispetterà la scelta degli iracheni che hanno votato. All’interno del Consiglio degli ulema vi è una forte discussione, le posizioni sono diverse. Dobbiamo impegnarci a negoziare per portarli dalla nostra parte e stiamo organizzando un incontro con loro, il Partito islamico e capi tribali. Non prenderemo nessuna decisione importante senza una discussione con tutti i gruppi», sostiene Taki.
Un terreno su cui potreste mettervi d’accordo con gli ulema ma che preoccupa i laici è lo stato islamico. «L’Alleanza non crede che in Iraq ci siano le basi per costruire uno stato islamico sul modello iraniano». E per l’imposizione della sharia? «Noi poniamo tre condizioni: la costituzione deve rispettare l’islam come religione della maggioranza. Nessuna legge deve andare contro l’islam e l’islam deve essere preso in considerazione per il codice della famiglia». Cerchiamo di approfondire cosa comportano queste affermazioni, ma il nostro interlocutore è sfuggente, ammette che l’islam sarà dichiarato religione di stato, e il codice della famiglia attuale sarà cambiato e seguirà la sharia, quindi sì alla poligamia, no all’aborto, etc. «Molti dei nostri votanti sono gruppi islamisti radicali, che vogliono l’imposizione dell’hijab, il divieto degli alcolici, non possiamo trascurarli altrimenti si radicalizzeranno. Dobbiamo mantenere un equilibrio», si giustifica.
Oltre che di alleanze si parla anche di candidati al governo. Chi candidate a premier? «Adel Abdel Mahdi (ministro delle finanze), Ibrahim al Jaafari (vicepresidente del Dawa) e …». Si comincia a parlare anche di un recupero di Ahmed Chalabi, già favorito dagli americani prima di cadere in disgrazia, qualche mese fa per documenti passati all’Iran, cosa che gli avrebbe permesso di rifarsi una immagine candidandosi con Sistani. Laico, non più fantoccio di Bush, potrebbe favorire il compromesso tra l’Alleanza e i kurdi. Ma Taki che lo conosce bene, sono diventati amici a Londra, dice che è presto. «Diventerà un uomo chiave nel 2006». E il vostro leader Abdelaziz al Hakim? «Potrebbe essere candidato a presidente, se agli sciiti toccasse la presidenza».