Costituzione, garanzia di democrazia e libertà

La materia è così complessa che il renderla comprensibile diviene un arduo tentativo di disarticolazione delle ipocrite intenzioni buoniste della destra nei confronti del Paese. Smascherare perciò il velo di bontà che sovrintende ad un coacervo di spinte verso la destrutturazione della democrazia italiana colpendo, al cuore, la sua legge fondamentale, la regola complessiva che definisce i rapporti tra tutto il popolo italiano.
La Costituzione della Repubblica italiana è sotto attacco: un fuoco incrociato di interessi particolari e di ferocia campanilistica sono la traduzione pratica della modifica di oltre 50 articoli del testo uscito dal lavoro dei Costituenti tra il 1946 e il 1948.
La Costituzione è vecchia? Affatto. E’ “giovane e bella” recita uno splendido manifesto dei Giovani Comunisti in merito. Come tutte le persone che hanno 60 anni magari ha bisogno di qualche ritocco, ma non può non rimanere lei, così come è stata elaborata dopo la lotta antifascista e la Resistenza che, ricordiamolo, fu un primo esercizio di grande democrazia in un Paese che si abbeverava di libertà dopo una dittatura ultraventennale e una guerra totalizzante.
Il 25 e il 26 giugno il voto è proprio uno spartiacque: da una parte chi vuole conservare (ma che non per questo non può essere solamente definito come “conservatore”) intatto lo spirito della Costituzione; dall’altra chi vuole fare del Paese una repubblica non più con al centro il Parlamento, ma un “primo ministro” che potrebbe nominare e licenziare i ministri, nonché esercitare questo potere decisionale anche per la permanenza in attività o meno della Camera dei Deputati. Una prerogativa che, oggi, se debitamente motivata spetta solamente al Presidente della Repubblica e non certo per decisione unidirezionale, ma verificata la necessità dello scioglimento del Parlamento.
E’ Sergio Acquilino, avvocato civilista, che introduce la serata con una relazione sul ruolo della Costituzione nella società italiana e la inserisce in un contesto storico da cui, obiettivamente, è impossibile astrarre la Legge fondamentale dello Stato repubblicano.
Alberto Burgio, neodeputato di Rifondazione Comunista e titolare della cattedra di Storia della filosofia all’Università di Bologna, ci parla di tutto ciò nell’incontro pubblico organizzato dal nostro Partito a Savona nella sala Mostre della Provincia.
“Dobbiamo tornare indietro almeno di 15 anni per comprendere i continui attacchi alla Costituzione repubblicana” esordisce Burgio. In effetti la genesi delle volontà di riforma strutturale della Carta fondamentale dello Stato affonda nella notte della Repubblica. Sta negli anni in cui i poteri forti, e quelli occulti nascevano e prosperavano sulle spalle di chi ha sempre mirato a restringere il conflitto sociale nel recinto di un contenimento delle lotte, dell’espansione dei diritti dei lavoratori e dei ceti più deboli. Le logge massoniche deviate, i servizi segreti deviati, i tentativi di colpo di Stato alla Valerio Borghese, le tensioni terroristiche di matrice fascista: un clima adatto all’evoluzione di “piani di rinascita democratica” dove Licio Gelli contemplava insieme a tanti e tanti cittadini “perbene” la fine del patto costituzionale e la trasformazione della Repubblica in un regime autoritario completamente accondiscendente nei confronti degli Stati Uniti d’America, della Cia e della Nato.
“Quei 139 articoli hanno rappresentato un impedimento per la realizzazione dell’autoritarismo politico” sponsorizzato a piene mani dal capitalismo italiano, dalle grandi famiglie imprenditoriali del Paese, da generali e colonnelli con ambizioni troppo grandi per loro, da un tessuto di nero colore formato da revanchismi fascisti in riunione all’Hotel Parco dei Principi, o con la loro sinistra presenza in ordigni esplosivi a Bologna, a Piazza Fontana, sull’Italicus.
Parimenti hanno consentito lo sviluppo di un tessuto di norme a protezione dei diritti dei lavoratori (basti pensare alla Legge 300 c.d. “Statuto dei lavoratori”, o alla legge 180 ispirata dalla psichiatria democratica di Franco Basaglia, o, ancora, ai decreti delegati, alla democrazia operaia e ai moderni rapporti interni alla scuola pubblica, dai gradi minori sino agli atenei).
Alberto Burgio insiste sul carattere fortemente progressivo della Costituzione: “Contiene la definizione degli ambiti di azione della proprietà che viene vincolata all’utilità sociale e che in nessun modo può confliggere, nel proprio sviluppo, con il complessivo interesse comune”. Un impianto fortemente progressivo, riconosciuto da tutti i costituzionalisti e avversato solo da chi subordina il proprio singolo interesse politico ed economico alla società italiana.
“L’attacco portato alla Costituzione – continua Burgio – è uno dei più imponenti mai avvenuti. Di certo c’è che la vittoria del “sì” porterebbe alla fine delle garanzie di stabilità tra i poteri dello Stato.”. La stessa Corte Costituzionale vedrebbe ridimensionato notevolmente il proprio ruolo di garante della normazione, e il Parlamento sarebbe sotto la “tutela” del “primo ministro”, vero e proprio dominus della nuova Repubblica di stampo calderoliano e leghista, ben accettata anche dal nazionalismo alleato di Fini e benedetta da Berlusconi come la conferma della vera italianità dei cittadini. E’ di queste ore l’affermazione che chiunque non si esprima per il “sì” non sarebbe poi così tanto degno di fregiarsi del titolo di “italiano”… Un ennesimo escamotage del padrone di Forza Italia che spera in una vittoria del fronte affermativista per la riforma così da dare anche una spallata al governo Prodi.
Burgio non si nasconde e non nasconde il pericolo di una strisciante ricerca della “grande riforma” anche in presenza di una pur necessaria e imprescindibile vittoria del “no”: i segnali di una riedizione della commissione Bicamerale sono ogni giorno sempre più evidenti dagli ambienti moderati del centrosinistra. Margherita e Ds ricercano un dialogo con la Casa delle libertà per dare luogo ad un cambiamento dell’impianto costituzionale certamente diverso dalla proposta approvata dal governo Berlusconi, ma che rischia di segnare una discontinuità anche rispetto agli attuali assi portanti della Costituzione.
Un fantasma questo delle “grandi intese” che è aleggiato nella debole campagna elettorale che per il “no” è stata fatta. “Una linea politica netta e precisa, non ambigua e non interpretabile viene premiata da quei settori sociali che vi si possono completamente riconoscere, senza tentennamenti, senza ambivalenze. Una fisionomia che Rifondazione Comunista deve saper recuperare per molti ambiti di politica sia nazionale che internazionale.”.
Siamo ormai in estate, cominciano i bagni di sole e di mare, la spensieratezza, la voglia di separarsi dal tempo delle votazioni. Ed in effetti questo anno è stato caratterizzato già da due tornate elettorali dirimenti per la vita politica e sociale di tutti: le politiche di aprile e le amministrative di maggio.
La corsa non è ancora finita. Ancora un piccolo grande sforzo: il 25 e il 26 giugno dire NO è imprescindibile, irrinunciabile. La Costituzione è libertà, ed è un po’ di tutti noi. Sacrificarla sull’altare del profitto berlusconiano, delle “piccole patrie” di nostrano leghismo e sulla voglia di presidenzialismo dei post-fascisti? La scelta non esiste. La scelta è la Costituzione. Per questo in tanti milioni di cittadini diciamo NO, NO e ancora NO.