Il 25 e il 26 giugno si svolgerà il referendum richiesto per dire NO a una riforma che modifica ben 53 articoli della attuale Costituzione. Sarebbe un errore irrimediabile sottovalutare la posta in gioco o far prevalere in questa occasione la propria disillusione sulle forme della politica.
Andare a votare ad un referendum costituzionale non è come partecipare alle elezioni politiche e amministrative o al referendum abrogativo. E non solo perché il nostro diritto di voto e quello di abrogare con referendum una legge sono previsti e tutelati dalla stessa Costituzione. Il referendum costituzionale ci offre l’occasione infatti di prendere posizione sulle norme fondamentali su cui dovrebbe basarsi la convivenza tra le persone che abitano il territorio.
Anche chi nutre il massimo disagio, se non sospetto, per le istituzioni che governano la nostra vita non può, in coscienza, restare indifferente a fronte di questo tentativo di sovvertire i principi politici che dovrebbero caratterizzare la nostra democrazia. Anche chi preferisce praticare esodo rispetto alle forme della politica istituzionale non può illudersi che, sol per questo, le istituzioni smettano di riuscire a conformare di sé la società. Certo è invece che, se dovesse essere approvata questa riforma costituzionale, le nostre vite saranno più di prima in balia dell’arroganza del potere accentrato e autoreferenziale.
Non bisogna farsi scoraggiare dalla complessità e dalla astrattezza delle questioni sollevate da questa gigantesca riscrittura della Carta fondamentale che, nei suoi risultati ultimi, consiste in una vera e propria controriforma rispetto alle aspettative di democrazia sociale, inclusiva e pluralista promesse dalla nostra Costituzione. Anche se è forte la tentazione di crogiolarsi nel disicanto per le mancate promesse, se avessimo avuto la forza e la voglia di continuare a pretendere l’attuazione della Costituzione vivremmo già in un mondo diverso. Certamente imperfetto, ma migliore.
Le Costituzioni infatti si sono affermate nella storia, con non poca fatica, per diffondere il potere distribuendolo sotto forma di diritti e libertà riconosciuti e garantiti ad ogni singolo soggetto, individuale e collettivo. Le Costituzioni restano coerenti con le loro promesse di liberazione da forme oppressive e repressive della vita sociale solo quando si pongono come “controcondotta” rispetto alla concentrazione del potere e al suo inevitabile abuso, rispetto all’indifferenza per le aspettative e le condizioni dei più.
Una controcondotta, secondo Foucault, è la pretesa di abbandonare la legge dell’obbedienza al più forte per rifondare la convivenza a partire dalle esigenze e dai bisogni fondamentali delle persone. In questa chiave la Costituzione dovrebbe essere la controcondotta per eccellenza: con questo atto fondante si impone la diffusione del potere tra tutti gli appartenenti alla comunità politica sotto forma di diritti, di spazi di autonomia e di assunzione di responsabilità verso se stessi e il prossimo.
Nella nostra Carta infatti, accanto a una prima parte dedicata ai principi politici cui informare la convivenza e ai diritti fondamentali riconosciuti ad ogni individuo presente sul territorio, si affianca la parte dedicata alla organizzazione dei poteri. Le due parti concorrono, in modo indissolubile, alla garanzia delle libertà e della pari dignità sociale delle differenze. Gli spazi di libertà e tutti i diritti- sempre minacciati – sono meno in pericolo a fronte di istituzioni preposte alla cura della vita comune improntate al principio democratico della frantumazione del potere, della reciproca delimitazione e soprattutto della loro rappresentatività dell’intera comunità politica. Istituzioni che si nutrano della partecipazione di tutte e tutti alla vita sociale, politica ed economica, allo spazio pubblico condiviso.
Nella storia del costituzionalismo la nostra Carta è nota per le potenzialità democratiche e sociali che potrebbe sprigionare, qualora fosse presa sul serio: non a caso è in atto da trent’anni il tentativo di delegittimare la Costituzione nominandola solo per alludere alla sua incapacità di stare al passo con i tempi. Questa incapacità è piuttosto quella che Maria Luisa Boccia – nell’Incontro nazionale che si è tenuto alla Casa internazionale delle donne il 17 e 18 giugno – ha chiamato la “inattualità” della Costituzione rispetto alle esigenze antidemocratiche del mercato, note come “governabilità”.
L’irriducibilità della Costituzione attuale alla semplificazione plebiscitaria, alla ulteriore verticalizzazione e personalizzazione del potere, al decisionismo di un leader indiscusso, alla marginalizzazione delle debolezze ma anche delle differenze, è la prova definitiva del carattere di controcondotta della nostra Costituzione rispetto agli imperativi della “anti-politica” della globalizzazione. Per questo vogliono stravolgerla. Per questo vogliono delegittimarla.
Per questo bisognerebbe ripartire dalla Costituzione e dal suo rilancio. Il progetto politico in essa indicato ha bisogno dei soggetti politici che, anche attraverso una sua rilettura, siano in grado di dare nuovo significato alle sue norme e al suo progetto politico. Ha bisogno di chi pretenda la loro attuazione ripartendo dalle esigenze, dai bisogni e dalle relazioni delle donne e degli uomini che vivono in questo paese. Per un rinnovato patto, come ha detto la Assemblea nazionale delle donne che si è riunita a Roma. La speranza è che la sua presa di posizione sia contagiosa!