Costi, Prodi sereno. L’Unione no

Come finanziare la missione in Libano? Al termine del consiglio dei ministri, ieri, il premier Romano Prodi dichiarava che «non ci sono problemi insormontabili a riguardo, visto che nei prossimi mesi si darà luogo al ritiro delle truppe dall’Iraq, come stabilito in precedenza». «In precedenza», tuttavia, significa anche che di quel risparmio il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa deve aver già tenuto conto nei calcoli che precedono il varo della prossima legge finanziaria, che pure si preannunciava difficile a causa dei pesanti tagli al Welfare e ai diritti sociali. La nuova emoragia di denaro, connessa al Libano, potrebbe rendere ancora più consistenti quegli interventi, rumoreggia da giorni la sinistra radicale, che giudica necessario un risparmio sulle spese militari, a partire da quelle in Afghanistan.
Il problema nella maggioranza c’è, anche se si nasconde dietro la vaghezza della risoluzione. E ripercorre le stesse spaccature tra i partiti dell’Unione andate in scena quando si trattò di rifinanziare le operazioni a Kabul. Per evitare che deflagri la questione, ora come allora, al ministero dell’Economia pare si stia puntando su una soluzione di questo tipo: proporre alla Difesa una contrazione dei costi sotto il capitolo «missioni». L’alternativa, nel caso in cui la strada risultasse sbarrata, consisterebbe in un emendamento alla legge di assestamento di bilancio, che, a settembre, ridistribuirà le maggiori entrate (soprattutto fiscali) a beneficio del dicastero di Arturo Parisi. Quest’ultimo, per il momento, si è limitato ad osservare un pò stizzito: «L’impegno dell’Italia in Libano dovrà essere spalmato sui bilanci dello Stato, e non su quelli della Difesa». Dello stesso avviso il ministro alla Giustizia Clemente Mastella (Udeur), che in Afghanistan vuole restarci, visto che «non è lì che io cercherei forme di risparmio». Anche il ministro alle Infrastrutture Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei valori, d’altronde crede che «assumere un impegno internazionale significa richiamare alla responsabilità tutto il paese. La pace mondiale, in questo momento, è la priorità delle priorità. E, per quanto riguarda la nostra presenza a Kabul, pacta sunt servanda: gli obblighi già assunti devono essere rispettati».
Da Rifondazione comunista, dai comunisti italiani e dai Verdi la proposta di uno scambio tra il costo della missione in Afghanistan e quella in Libano trova, per ora, solo la strada delle singole dichiarazioni. Il problema politico al governo non è ancora stato posto. E si discute su quale sia la forma migliore per farlo. Il sottosegretario all’Economia Paolo Cento si è detto pronto a confezionare per lo scopo un emendamento al decreto legge del governo sulla missione, quando lo stesso arriverà in parlamento per essere riconvertito. Oliviero Diliberto, segretario dei comunisti italiani, dice di essere favorevole sul merito della questione. Ma sul «come» si spinge solo fino ad un «aspettiamo per vedere cosa ci dice il governo». Il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero, di Rifondazione comunista, ci tiene poi a sottolineare come il ritiro dall’Afghanistan sia un tema sul quale insistere non solo per i vantaggi economici ma anche per le ragioni politiche: «La decisione assunta dal governo e approvata dalle commissioni esteri e difesa di camera e senato è una positiva scelta di pace. La costruzione di una forza da dislocare in Libano, per rafforzare la tregua e impedire la guerra, è l’opposto di quanto fatto da Bush e Berlusconi con la guerra in Iraq. Dopo la decisione di ritirarci dall’Iraq, quella di oggi è la seconda scelta che va nella direzione giusta, che dovrà proseguire, in futuro, anche con il ritiro delle truppe da Kabul». Per Salvatore Cannavò, deputato di Rifondazione comunista, la questione merita di essere oggetto di un documento politico del parlamento, nel quale si spiega che ritrattare gli impegni in Afghanistan è necessario «non solo per recuperare le risorse finanziarie, ma anche per operare quella discontinuità con la precedente legislatura».
Alfiero Grandi, sottosegretario diessino all’Economia, si limita a «riconoscere che chiedere una riduzione dei costi delle altre missioni per sostenere i costi di quelle in Libano è un arogmento molto valido». Ma all’ipotesi non se la sente di dare il suo nulla osta: «Pur non volendo che gli ulteriori impegni in campo internazionale si traducano in forbici all’equità sociale, non credo che si potranno toccare i soldi destinati all’Afghanistan, dove stiamo comunque operando per una pacificazione. E’ un problema di grande importanza, ma, trattandosi di valutazioni politiche, non può valere il gioco dei vasi comunicanti».