Cossutta: «Bertinotti, hai ragione Subito la costituente di sinistra»

Il passato è passato, le ferite, prima o poi, devono essere superate e questo è il momento per farlo in nome della costruzione di un «partito politico unitario e plurale della sinistra». Un’Armando Cossutta sganciato dagli «obblighi di appartenenza» (come dice lui), libero dal Pdci che ha lasciato dopo lo scontro con Diliberto, ci accoglie nel suo studio al Senato parlando entusiasticamente di due articoli che ha in bella vista sulla scrivania: l’editoriale di Fausto Bertinotti sulla costituente della sinistra e l’intervista di Liberazione a Nichi Vendola. «Condivido Bertinotti», dice Cossutta, nove anni dopo la scissione da Rifondazione. Per l’unità a sinistra «bisogna fare presto, ma dopo la bella assemblea di Sinistra Democratica all’Eur, vedo rallentamenti…».

C’è paura di perdere l’indentità?
Credo non ci sia una precisa percezione della gravità della crisi. Perciò viene meno il senso dell’urgenza che invece è compresa dal grande popolo della sinistra. Rifondazione, che ho fondato, e il Pdci, che pure ho fondato, di per sè sono di sinistra ma non sono la sinistra, e così è per Sd. La sinistra alla quale penso supera queste particolarità per giungere ad una composizione plurale e democratica, un grande soggetto politico. C’è esitazione, ma io non esito a dire che c’è l’urgenza di costituire un partito politico unitario e plurale della sinistra.

Non è un caso che hai davanti a te le riflessioni di Bertinotti e Vendola?
Leggo sempre gli interventi su Liberazione , ho letto anche Alfonso Gianni…

Appunto, la direzione è la stessa…
E altri non vanno nella stessa direzione, succede in Rifondazione e anche nel Pdci. Alcuni di questi gruppi dirigenti hanno uno sguardo ristretto, sono abituati ad una sopravvivenza marginale e difensiva, tutta stretta attorno ai propri simboli, alla propria identità. Ma oggi è a rischio l’esistenza della sinistra e i piccoli passi non bastano più. Sento parlare di patti di unità, di confederazioni: è il segno di una qualche consapevolezza, ma non basta. Ci vuole il coraggio delle grandi innovazioni.

Una costituente?
Sì, è giunto il momento di una grande costituente del partito politico unitario della sinistra italiana. Non ignoro le difficoltà, ci sono differenze, ma i problemi ce li hanno tutti: è un errore pensare che ognuno se li possa risolvere per proprio conto, con un processo unitario tra gruppi consanguinei. Vanno affrontati insieme, la sinistra deve raccogliere tutti coloro che si sentono di sinistra, come dice Bertinotti. Mi dispiace parlare di me stesso, ma ha un certo significato che Liberazione mi intervisti.

No, parli pure di se stesso, del passato…
Dentro il Pci, nel ’90-91, ho combattuto una battaglia strenua contro il leader della liquidazione del partito, Occhetto: ci siamo cavati la pelle l’un l’altro. Con Bertinotti ho avuto polemiche aspre, quando nel ’98 c’è stata la separazione che tutti conoscono. Ma oggi avrà pure un significato che Occhetto, Bertinotti e Cossutta trovino una convergenza.

Chi ha avuto ragione?
Non mi interessa. La storia non si può cancellare, ognuno ne è portatore, ma oggi c’è qualcosa che deve far riflettere tutti. Bisogna liberarsi dalla paura dettata dalla propria identità, non è razionale e non corrisponde alle esigenze. Oggi io mi ritrovo a cercare la strada per una larga sinistra insieme a questi compagni con i quali lo scontro politico, in anni non così lontani, è stato un patto feroce…

Il momento più aspro che ricordi?
Ricordo quando nel ’97 alla sede di Viale del Policlinico arrivarono in pullman i compagni operai di Brescia con l’attuale responsabile del lavoro del Prc Zipponi, per dire a me e Bertinotti di non rompere con il governo. E’ stato un momento teso, la crisi fu superata ma i problemi restarono e nel ’98 si arrivò alla separazione.

La questione del governo: per Bertinotti resta una variabile dipendente, mentre il rapporto con i movimenti è la variabile indipendente per la sinistra. Condividi anche questo oggi?
Apprezzo molto le posizioni di Bertinotti, sono tra le più avanzate di quelle espresse a sinistra. Io penso che il movimento operaio nel suo insieme debba avere l’obiettivo di contribuire a governare il paese cercando i consensi con le forze indispensabili per governare. Non è un tabù, deve essere un obiettivo da perseguire continuamente. Il Pci conduceva la sua lotta con metodi e obiettivi che corrispondevano alle esigenze generali del paese e si sentiva di governo pur essendo all’opposizione. Questa dovrebbe essere la caratteristica di questa grande sinistra. Per farlo c’è bisogno di lucidità di analisi e passione, la stessa che deve accompagnare la formazione di una lista unitaria con un simbolo comune della sinistra alle prossime elezioni, altrimenti questa sarebbe una soluzione elettoralistica.

Parli del Pci, ma oggi, soprattutto con l’ecumenico Veltroni in campo, è difficile attualizzare il ricordo…
Quando il Pci doveva lottare contro la Dc che aveva la maggioranza assoluta, noi dicevamo: certo, voi vi contate e siete più numerosi, ma noi sappiamo di rappresentare una parte della società che può pesare anche se ancora i numeri non ci sono. Per pesare bisogna incidere. Oggi non possiamo pensare solo ad aumentare i voti del Prc o quelli di un piccolo partito come il Pdci che dopo anni è ancora al 2 per cento? Ben venga, ma non si va da nessuna parte.

Oggi hai un rapporto migliore con Bertinotti o con il Pdci?
Corretto, con l’uno e gli altri. Ma devo dire che sono d’accordo con Bertinotti. Le polemiche ci sono state ma le ferite si superano prima o poi: questo è il momento.