I numeri parlano chiaro, e quelli relativi agli attacchi della guerriglia irachena indicavano già da alcune settimane un trend preciso: il piano per la sicurezza di Baghdad sta producendo due effetti collaterali. Un incremento delle azioni della resistenza contro la Zona verde e un aumento degli attentati nel resto del paese, soprattutto nel nord. Decine le offensive – principalmente lancio di missili e colpi di mortaio – contro la Zona verde nell’ultimo mese, sei soltanto nell’ultima settimana di marzo.
Tanto che il portavoce delle forze armate Usa a Baghdad, Mark I. Fox, ha dovuto ammettere nei giorni scorsi che «è chiaro che ci sono attacchi mirati crescenti contro la zona internazionale». Pochi giorni prima un soldato e un contractor americano erano stati uccisi da un missile, mentre un altro razzo era caduto a circa 100 metri dalla residenza del Primo Ministro Nuri al-Maliki, sempre nella Green zone, facendo sobbalzare la sala dove il premier stava tenendo una conferenza stampa assieme al Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon. Ma l’attentato di ieri ha assestato un colpo durissimo al piano per la sicurezza di Bagdad – il terzo dopo il fallimento dei due precedenti – lanciato il 14 febbraio. Tuttavia altri due colpi mortali ai progetti degli occupanti li stanno assestando quegli stessi sciiti che, organizzati nell’Alleanza irachena, detengono la maggioranza nel parlamento di Baghdad.
Il piano statunitense prevede infatti – oltre alla costante presenza militare nei quartieri roccaforti della guerriglia sciita come Sadr city – due passaggi tutti politici: un rimpasto governativo, con l’accantonamento di quei ministri sospettati d’appoggiare indirettamente la guerriglia, e il varo della legge che riammetterebbe agli incarichi pubblici gli ex membri del partito Ba’ath (esclusi gli alti funzionari). Contro quest’ultimo progetto ha tuonato nei giorni scorsi il grande ayatollah Ali al-Sistani, la guida suprema degli sciiti iracheni, che ha definito «inaccettabile» la riabilitazione di «criminali». Il giovane sceicco radicale Moqtada al-Sadr non ha invece accettato le limitazioni che il piano per la sicurezza di Baghdad ha imposto al suo Esercito del Mahdi, la milizia di giovani in uniformi nere che in quattro anni d’occupazione militare è diventata sempre più popolare. Ora Moqtada minaccia di ritirare i suoi parlamentari dal governo del premier Nouri al-Maliki, considerato come il principale sponsor del piano Usa all’interno dell’esecutivo.
«Il movimento sadrista sta studiando la possibilità di uscire dal governo iracheno, che non ha mantenuto le sue promesse nei confronti del popolo», si legge in un documento ottenuto dall’Associated press. Al-Sadr potrebbe essere interessato a dare una spallata al governo. Insomma il piano per la sicurezza di Baghdad è praticamente già fallito, per effetto dell’azione congiunta della guerriglia (in gran parte sunnita) e dell’opposizione sciita. A farne le spese potrebbe essere proprio il premier Al Maliki, da cui gli americani non fanno mistero di «aspettarsi di più», un modo per dire che non fa abbastanza contro le milizie che gestiscono come feudi i quartieri di Baghdad.