«Così si chiudono i centri di permanenza temporanea»

«I centri di permanenza temporanea sono stati un fallimento, perdipiù costoso. Lo possiamo dire con molta serenità e realismo a dieci anni di distanza dalla loro istituzione. Ora si tratta di lavorare per trovare soluzioni aletrnative, con la duttilità che i fenomeni complessi richiedono e soprattutto senza battaglie ideologiche». Livio Pepino, magistrato di Torino, è stato presidente di Magistratura Democratica e attualmente è condirettore della rivista «Diritto, immigrazione, cittadinanza».

Secondo lei è davvero possibile superare i cpt?
Secondo me sì, ma una condizione: cambiare la legge sull’immigrazione. I cpt non sono nient’altro che il prodotto di una precisa scelta politica di stampo proibizionista.

Cioè l’unico modo per chiudere i cpt è aprire le frontiere?
Niente affatto. Ed è inutile tirare fuori il trattato di Schengen, che chiede soltanto di controllare l’immigrazione. La nostra è una politica proibizionista perché controlliamo l’immigrazione attraverso un numero di ingressi limitatissimo e rendendo impossibile la regolarizzazione in itinere per chi si trova sul territorio nazionale, salvo poi fare periodiche sanatorie. Conseguentemente lo strumento principe della politica migratoria è l’istituto dell’espulsione. Se scegli una politica di questo tipo, allora avrai la necessità di un luogo come i cpt.

Invece…
Invece occorre mettere in campo una politica realistica sui flussi migratori: prevedere quote consistenti e dare la possibilità per chi si trova irregolarmente sul territorio, ma ha una situazione di vita controllabile, di ottenere un permesso di soggiorno.

In ogni caso avremo un certo numero di persone da espellere. Dove li mettiamo?
Primo: non c’è paese al mondo che non sia collegato con l’Italia via aereo nell’arco di 48 ore. La Costituzione prevede la possibilità di limitare la libertà personale per 48 ore, prorogabile a 96. Sono termini ampiamente sufficienti per caricare una persona su un aereo, magari pensando a specifiche sale d’attesa negli aeroporti, ma senza bisogno di strutture detentive.

E 96 ore sono sufficienti anche per l’identificazione?
Sulle identificazioni c’è un vizio di fondo nel ragionamento: l’idea, cioè, che per identificare una persona sia necessario averla lì a disposizione, chiusa nel cpt. Ma non è così: se tu fermi uno straniero irregolare, gli prendi le impronte, puoi procedere alla sua identificazione anche rimettendolo in libertà e attivando tutti i contatti di rito, Interpol, autorità consolari e così via.

Certo, ma poi dove lo ritrovi?
Se la polizia non ritrova una persona è per due ragioni: o perché non c’è più, o perché non la cerca. Il problema semmai è un altro.

Quale?
Che anche oggi più della metà delle persone trattenute nei cpt viene rilasciata senza che sia stata identificata. Il motivo è semplice: il cittadino straniero non ha alcun interesse a farsi identificare visto che per un irregolare l’unica prospettiva è essere espulso, perdipiù con il divieto di rientrare in Italia per dieci anni. E’ illogico. L’unica strada è capire che le migrazioni, da sempre e in tutto il mondo, hanno conosciuto lo statuto dell’irregolarità. Preso atto di questo, bisogna prevedere strumenti che rendano l’irregolarità residuale.