Così si aggira l’Europa e si raggirano le sue Istituzioni

La prima cosa da chiarire è che l’accordo sulle espulsioni congiunte raggiunto dai ministri dell’interno di 5 paesi Europei non introduce una sorta di espulsione europea dei migranti irregolari e non può essere considerato, checchè ne dica Sarkozy, «un messaggio chiaro» che l’Europa, come entità politica, intende mandare ai paesi di origine degli immigrati.
In realtà l’accordo in questione è frutto di una cooperazione intergovernativa che si è sviluppata completamente al di fuori del circuito delle istituzioni dell’Unione Europa e delle relative garanzie politiche e giurisdizionali. E’ noto che con il trattato di Amsterdam (1997) è stato «comunitarizzato», sia pure per tappe e con delle limitazioni, il «sistema Schengen», vale a dire quella serie di accordi internazionali realizzati da un gruppo di Stati europei, aventi ad oggetto la materia dell’immigrazione e dell’asilo, attraverso i quali si realizzava una sorta di cooperazione esterna ai Trattati, cioè al di fuori del quadro del diritto comunitario. Ciò è avvenuto con il Protocollo per l’acquisizione dell’acquis di Schengen e mediante l’inserimento di un apposito titolo (il Titolo IV) nel trattato sulla Comunità Europea, avente ad oggetto: «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone». Inoltre la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Nizza, dic. 2000) ha riconosciuto la garanzia del diritto d’asilo ed ha vietato le espulsioni collettive e quelle verso quegli Stati in cui esiste un serio rischio che l’espulso venga sottoposto alla pena di morte, a tortura o ad altri trattamenti inumani o degradanti (art. 18 e 19).

Di conseguenza l’immigrazione è entrata a pieno titolo nelle materie di competenza (concorrente) della Comunità Europea, che dovrebbe fissare degli indirizzi e delle norme minime per l’ingresso, il soggiorno e la protezione dei rifugiati e degli asilanti, ivi comprese le norme relative al rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare (art. 63 n. 3), lett. b).

E’ stata proprio l’esistenza di questa nuova competenza comunitaria a consentire al Parlamento Europeo, con la Risoluzione del 13 aprile 2005, di condannare la pratica italiana delle espulsioni collettive dei migranti sbarcati a Lampedusa.

Se l’Europa vuole prendere delle misure in materia di rimpatrio dei migranti irregolari, deve farlo attraverso le procedure e le garanzie assicurate dal diritto comunitario. Questo significa che la decisione deve essere assunta dal Consiglio dei Ministri, ma su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo, e che le misure adottate in quest’ambito sono soggette al controllo di legittimità della Corte di Giustizia Europea.

Certo seguire questa strada è troppo faticoso e comporta degli inconvenienti, come la possibile bocciatura politica delle misure proposte da parte del Parlamento europeo o la bocciatura giudiziaria da parte della Corte. Allora è molto più comodo raggirare le Istituzioni europee ed agire al di fuori del quadro del diritto comunitario, dove non vi sono Parlamenti o giudici che possono mettere becco. Ma se si agisce fuori dal quadro delle istituzioni Europee, si agisce fuori dall’Europa e – soprattutto – non è l’Europa – soggetto politico – che agisce