Marwan Barghouti, qual è l’obiettivo del Documento di «Riconciliazione nazionale»? «L’obiettivo è quello di fare un discorso politico comune, e lanciare una strategia politica comune per contrastare il piano israeliano di costringerci alle soluzioni con la forza. Il documento auspica l’unione tra i partiti e che sia evitato un tragico conflitto interno».
Barghouti, 47 anni, non poteva immaginare che quel documento sottoscritto con altri leader prigionieri, presentato timidamente il 10 maggio scorso, (e infine accettato da Hamas, ndr. ) potesse avere una simile ripercussione. Ha formazione, credibilità e carisma per diventare leader indiscusso. Laureato in Scienze Politiche, master in Relazioni Internazionali, parla perfettamente inglese e ebraico. Nella sua cella, in cui ha risposto a queste domande ricevute tramite il suo avvocato, Barghouti sta ottenendo risultati impensabili per altri politici palestinesi.
È stata una sorpresa che Abu Mazen abbia presentato il documento come base per il dialogo nazionale e per i futuri negoziati con Israele?
«Ci ha fatto molto piacere, perché così il documento assume una forza anche maggiore. E siamo anche grati a Abu Mazen per la sua ferma volontà di portarlo sul tavolo dei negoziati. Conferma che gli sta a cuore l’unificazione del programma e che capisce il valore di un testo condiviso da tutti i partiti».
Il documento insiste sulla resistenza contro l’occupazione? Appoggia gli attacchi suicidi contro coloni e soldati?
«La resistenza contro l’occupazione militare è un diritto contemplato nei trattati internazionali e dalle leggi divine che li proteggono, e il documento lo conferma, come anche il fatto che occupazione militare e insediamenti sono illegittimi nella nostra patria. La resistenza continuerà finché non termina l’occupazione e finché Israele non abbandona la nostra terra. Continuerà finché non otterremo la libertà, il diritto di ritornare, l’indipendenza e la costruzione di uno stato sovrano».
Il documento chiama al rispetto dell’autorità della presidenza e del governo palestinesi, però i partiti vi si oppongono quotidianamente. È possibile evitare un conflitto civile?
«La guerra civile è un disastro che ci porterà a un altro disastro: non permetteremo che accada, per nessun motivo. La maggior parte dei responsabili è consapevole dei pericoli che si corrono. Il documento è proprio un’ancora di salvezza per evitarla e per combattere l’ingiusto embargo contro i palestinesi».
Hamas e Al Fatah aspirano alla creazione di uno stato compreso nei confini del ’67. Hanno abbandonato il comune obiettivo di combattere Israele per lottare invece tra loro?
«È triste che gli stessi compagni di viaggio, di armi e di resistenza abbiano una sola trincea ma che due movimenti – Fatah e Hamas – ne abbiano la responsabilità. Entrambi devono raggiungere un accordo anziché usare le armi. La disputa interna non è legittima, bisogna aderire alla soluzione democratica, e alla supremazia della legge».
Hamas era pronto a governare?
«Evidente che non era pronto alla responsabilità del potere. Il governo Hamas vive un dilemma interno, in cui ha trascinato anche la popolazione. Ha ottenuto una grande vittoria alle elezioni ma poi non è stato capace di fondare un governo nazionale, e per questo non è neppure in grado di far interrompere l’embargo regionale e internazionale. Approvando il documento, Hamas aprirà una porta all’unità nazionale e a un programma politico unico».
È sorpreso della reazione e del boicottaggio dell’America e dell’Unione Europea?
«La reazione Usa non è stata una sorpresa: sono alleati di Israele. L’atteggiamento europeo invece ha sorpreso i palestinesi, soprattutto perché l’Ue aveva adottato una linea molto più equilibrata negli ultimi anni, orientata a risolvere il conflitto. Il mondo non sta castigando Hamas con quest’embargo, ma la popolazione palestinese. Mi auguro che l’Ue e i suoi alleati favoriscano un accordo in base al documento».
Israele non ritira gli insediamenti, continua a costruire un muro e a definire le sue frontiere senza tenere conto dei palestinesi. Si può trattare con Israele?
«È dal 2000 che Israele ci impone soluzioni con la forza: colonie, il muro dell’apartheid, la giudeizzazione di Gerusalemme, gli omicidi… Questo non è il cammino verso la pace. Israele pretende che i negoziati ratifichino ciò che decide da sola: è inaccettabile. Non penso che Israele abbia intenzione di intavolare veri negoziati: vedremo solo misure protocollari per gettare fumo negli occhi. Ad ogni modo, tutti i gruppi hanno accordato ad Abu Mazen la fiducia necessaria per intraprendere i negoziati. E questo scredita Israele che dice: non c’è una controparte con cui dialogare».
Crede che sia prossima la terza Intifada?
«Deve finire la seconda. Che non terminerà finché l’occupazione israeliana non svanisce del tutto».
El Mundo
(Traduzione di Sabina Ambrogi)