Dopo essere stata sedotta da Prodi la Cosa rossa rischia d’essere abbandonata da Veltroni. L’entourage di Walter, lo ha raccontato ieri il Foglio, la chiama “la teoria del doppio colpo in canna”: andare al voto, andarci al più presto e soprattutto andarci da soli. Dove “da soli” significa il Partito democratico, magari allargato a quegli alleati che ne condividano l’impostazione riformista. Una coalizione al netto dell’area identificata col nome di sinistra radicale, la quale di fronte all’eventualità di essere scaricata dal partito veltronian-democratico rischie-rebbe un aborto spontaneo del progetto di unità rilanciato ieri con l’annuncio degli stati generali per l’8 e il 9 dicembre.
L’immagine dell’abbandono fa tremare i polsi al Prc, il maggiore affluente e maggiore investitore nella sinistra unita, ma anche a coloro i quali, come Fabio Mussi, hanno scommesso tutto (o quasi) sull’alterità al Pd con una scissione dai Ds. Molto di quello che potrebbe accadere dipende dai tempi dell’eventuale crisi del governo e dalle scelte che seguirebbero al tonfo. Qualora il governo cadesse in tempi brevi e si andasse a nuove elezioni il processo federativo delle quattro anime radicali della sinistra italiana subirebbe una violenta battuta d’arresto. Ne è convinto anche Paolo Cento, esponente dei Verdi e sottosegretario all’Economia. “L’unità a sinistra va fatta subito e va fatta ora – dice – Entro Natale deve essere compiuta. E’ evidente – aggiunge – che di fronte a un lento processo aggregativo a sinistra, pezzi della nostra parte politica sentirebbero forte l’attrazione del Pd”. Il sottosegretario allo Sviluppo pensa ai suoi Verdi che mai hanno voluto pronunciare l’espressione “Cosa rossa” e preferiscono parlare di “Progetto arcobaleno”. Ma Cento si riferisce anche a Sd, che con Veltroni condivide non solo la comune origine (il correntone Ds), ma pure un’affinità elettiva con la Cgil guidata da Gugliemo Epifani. D’altra parte si sa che il movimento di Fabio Mussi è già, senza che Veltroni faccia nulla, in preda a pericolose spinte centrifughe. Sd non ha partecipato alla manifestazione contro il welfare del 20 perché il suo coordinatore
era stato letteralmente circondato dai cigiellini che compongono il direttivo. “E’ vero abbiamo avuto una discussione molto
animata – dice Mussi – sia sulla condotta da tenere in Cdm sia sulla manifestazione. E’ una discussione che prosegue”. Prosegue
perché lo scontro tra la sinistra massimalista e il sindacato mette in difficoltà larghi settori che condividono storia personale e
cultura politica con il segretario della Cgil Epifani e non certo con il sindacalismo di matrice movimentista assecondato dal Prc
e incarnato dalla Fiom di Giorgio Cremaschi. Se Veltroni intervenisse su questo delicato equilibrio è chiaro che provocherebbe una crisi della sinistra massimalista nella formula con la quale è finora nota. Ma lo
sconvolgimento tellurico di un Pd a vocazione maggioritaria coinvolgerebbe poi anche la Cgil, già minata al proprio interno
dalle lacerazioni tra l’area più radicale e la maggioranza guidata da Guglielmo Epifani.
Giorgio Cremaschi, leader massimalista della Fiom, dice che adesso ci sarà “la resa dei conti” e che l’area epifaniana, che occhieggia a Veltroni e alla Cisl, forte del risultato del welfare sta processando i dirigenti che hanno sostenuto il “no” al referendum. L’ipotesi che tutti negano è quella della scissione e del sindacato unico. Se Veltroni scarica Rifondazione, dicono nella Cgil, “è chiaro che la Fiom e Cremaschi si troveranno senza protezione” e sarebbero fatti
fuori. Così la strada al sindacato unico con tendenza Walter sarebbe libera. “Due piccioni con una fava”.
All’ipotesi che Veltroni si voglia sbarazzare di loro, nella Cosa rossa non ci vogliono credere. Il capogruppo del Pdci al Senato, Manuela Palermi: “Poi come lo spiega agli elettori che ha perso solo perché tèsdardamente non ci ha voluti?”. Dalle parti di via del Policlinico (Prc) è un coro: “Impossibile, Walter lo conosco”. Il ragionamento degli ambienti vicini al segretario Franco Giordano è questo: “Veltroni non è un cuor di leone, prima di correre da solo ci penserà diecimila volte. Vuole governare”. Aggiungono: “Walter sa che per avere una minima possibilità di farcela deve guardare a noi”. Di fronte all’eventualità dell’abbandono, il senatore Folco Giannini invece esulta: “L’avevo detto, la Cosa rossa nasce male! E’ un alleato strategico del Pd, una stampella, altrimenti non esiste”. Lui è il leader dell’Ernesto, corrente più radicale del Prc, da mesi denuncia l’accelerazione unitaria dei dirigenti che “scavalcano l’imminente congresso nazionale”. Il senatore Giannini sostiene che “sono disposti a qualsiasi cosa per restare aggrappati a una gamba di Veltroni. Anche se lui dovesse mettersi a scalciare”. E’ innegabile che da quando Veltroni ha vinto le primarie il Prc ha smesso di attaccarlo. Basta leggere Liberazione. Il successo dei milioni di voti e la nascita di un’area di sinistra nel Pd hanno imposto una riflessione più attenta. Un’apertura l’aveva fatta sull’Unità il vicepresidente del Senato, Milziade Caprili. Aveva ammesso che molti del Prc erano andati a votare alle primarie. Oggi lo conferma il capogruppo alla Camera, Gennaro Migliore, prodotto purissimo della chimica bertinottiana.
“Il Prc non vuole essere scaricato” dice Marco Ferrando, ex rifondarolo e adesso leader del Pmcl. Secondo lui quando Bertinotti ammette l’ipotesi di un governo tecnico dopo Prodi “lo fa anche perché teme elezioni anticipate che travolgano la sinistra unita prima che il processo aggregativo abbia compimento”. La fretta di fare l’unità a sinistra deriverebbe dal timore di un naufragio innescato dal niet di Veltroni all’ai- [ leanza. Resta inevaso un’interrogativo. La, Cosa rossa senza i verdi e Sinistra democratica si farebbe comunque? Forse no. Chi conosce bene Oliviero Diliberto assicura: “Piuttosto che tornare con Bertinotti farebbe pure lui le fusa a Walter”