Convegno “Stop precarietà ora!” – Intervento di Leonardo Masella

Pubblichiamo di seguito la relazione introduttiva svolta da Leonardo Masella, capogruppo del Prc in Regione Emilia-Romagna, al convegno Stop precarietà ora, promosso dal Gruppo Prc E-R a Bologna il 28 ottobre.

Il Gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista dell’Emilia Romagna ha voluto promuovere l’iniziativa di oggi per dare un contributo alla mobilitazione contro la precarietà che, assieme a numerose forze sociali, sindacali, politiche e movimenti, stiamo costruendo nel paese a partire dalla manifestazione nazionale che terremo a Roma sabato prossimo, 4 novembre, alla quale invitiamo tutti a partecipare e a far partecipare. Da sempre il nostro Gruppo consiliare, come tutta Rifondazione Comunista, si è caratterizzato per la lotta contro la precarietà, a partire dalla lotta per contrastare la precarietà nell’Amministrazione che governiamo, cioè l’Ente Regione. Io vorrei partire proprio da qui, cioè da una riflessione che riguarda noi, la Regione Emilia Romagna, perché ci vuole coerenza: non si può manifestare contro la precarietà rimanendo indifferenti al proliferare di tutte le forme di precariato nella pubblica amministrazione e in particolare nelle Regioni e negli Enti Locali dove governiamo. Nell’Amministrazione regionale siamo già arrivati a circa 400 precari su 3000 dipendenti. Una situazione inaccettabile. Noi approfittiamo anche di questa iniziativa per chiedere nella Regione dove siamo al governo l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i 400 precari e faremo di questo un elemento simbolico della nostra presenza in maggioranza. Non ci si può rispondere, come fa la Giunta regionale e l’area moderata del centro-sinistra, che non ci può essere nessuna sanatoria perché si aggirerebbe il concorso, quando per anni, con grande incoerenza, è stato aggirato il concorso per poter disporre di 400 lavoratori più ricattabili ed esposti alle logiche clientelari e di potere anche dei partiti. La stessa cosa vale anche per tutti gli Enti locali dell’Emilia Romagna, Comuni, Province, dove chiediamo la stabilizzazione di tutti i precari e la lotta coerente contro la precarietà.
Con la stessa coerenza è necessario procedere nella lotta contro la precarietà anche nel settore privato e, in una regione come la nostra, anche nel settore cooperativo. Non mi dilungherò nella denuncia delle condizioni incredibili, spesso drammatiche, ormai della stragrande maggioranza dei giovani che dai 30 ai 40 anni non hanno ancora nessuna sicurezza lavorativa, non possono neanche farsi una famiglia perché sono permanentemente a rischio di disoccupazione e quindi di povertà. Io vorrei solo far notare che questo fenomeno non inizia con gli ultimi anni, non comincia con la legge 30. La legge 30 del Governo Berlusconi, che per fortuna è stato sconfitto e messo all’opposizione, tuttavia l’abominevole legge 30 porta a compimento e alle estreme conseguenze un lungo processo di precarizzazione del lavoro che ha attraversato governi anche di diverso orientamento politico. Un lungo processo di precarizzazione del lavoro che è stato portato avanti insieme all’attacco ai salari e al potere d’acquisto con la cancellazione definitiva della scala mobile; assieme all’attacco alle pensioni e alla previdenza pubblica per favorire le pensioni integrative private e la speculazione finanziaria; assieme all’attacco alla scuola pubblica per asservirla alle esigenze del mercato, del profitto e delle imprese; assieme alla privatizzazione sia dello stato sociale che delle imprese pubbliche e alla mercificazione di tutti gli aspetti della vita.
Insomma la precarizzazione del lavoro è una delle conseguenze dell’assalto del neoliberismo al movimento dei lavoratori a cui abbiamo assistito negli ultimi 10- 15 anni. La precarizzazione del lavoro è stata costruita sulla base di una martellante campagna ideologica, di apologia della cosiddetta flessibilità. La flessibilità è sempre stata flessibilità dei lavoratori alle esigenze dei mercati, dei padroni, della competitività, non è mai stata flessibilità delle imprese alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori. Lo stesso pacchetto Treu del 1997 è figlio, perché noi comunisti abbiamo la memoria lunga, degli accordi concertativi fra governo, sindacati e confindustria del 92’- 93’, con i quali assieme alla cancellazione definitiva della scala mobile si introdusse per la prima volta il lavoro in affitto. E’ evidente che la finalità della precarizzazione del lavoro è quella di ridurre ancora il costo del lavoro, di aumentare ancora di più lo sfruttamento dei lavoratori precari e non precari, di frantumare e indebolire la forza contrattuale complessiva del movimento dei lavoratori. Ridurre i salari, rendere ricattabili, sempre disponibili, difficilmente sindacalizzabili, masse di lavoratori, soprattutto le nuove generazioni, flessibili, fluttuanti nel mercato, che saltano da un posto di lavoro all’altro, a disposizione delle imprese, come avviene da sempre negli Stati Uniti d’America, che è il modello americano tanto decantato non solo a destra ma anche nella sinistra moderata. E’ in questo modo che in tutti questi anni le imprese hanno fatto i record dei profitti. La precarizzazione del lavoro è servita appunto ad abbassare i salari, il costo del lavoro, ad aumentare lo sfruttamento e a far fare i record dei profitti delle imprese che continuano fra l’altro a lamentarsi anche in questi giorni.
Finalmente dopo tanti anni si comincia a intravedere l’avvio di un movimento di lotta contro la precarietà, cosa non facile, un movimento che ha avuto come precursori il movimento contro la globalizzazione di Genova 2001 e il movimento per la difesa e l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Negli ultimi anni abbiamo cominciato a vedere delle vere e proprie vertenze aperte dai lavoratori precari negli enti pubblici, nella sanità, nei call center, vertenze apprezzabili e coraggiosissime perché fatte da lavoratrici e lavoratori in condizioni difficilissime sia in termini di sfruttamento che in termini di ricattabilità, vertenze troppo spesso, purtroppo, lasciate sole, non sostenute adeguatamente da partiti e sindacati di sinistra. La crescita di un movimento di precari è l’aspetto più positivo degli ultimi anni perché è vero che l’iniziativa istituzionale e legislativa è indispensabile e quindi è molto importante, per esempio, la proposta di riscrittura della legislazione sul lavoro avanzata nei giorni scorsi dai giuslavoristi di sinistra del Centro Diritti Pietro Alò, proposta che verrà illustrata subito dopo la mia introduzione, ma è vero anche che senza un movimento di lotta, di lotta di classe, non c’è nessuna possibilità che la sola attività istituzionale e legislativa abbia successo. Quindi va bene la proposta, però non sostituiamo, per favore, la proposta alla protesta. Ci devono essere tutte e due, va bene anche la lotta, la protesta, le manifestazioni, il conflitto sociale, che sono, a nostro parere, le condizioni basilari per costruire qualunque alternativa alla precarietà. Lo stesso Statuto dei lavoratori non è stato merito di chi allora governava, cioè il centro-sinistra di allora, ma è stato merito del movimento dei lavoratori, della Cgil, del Pci, che allora era all’opposizione. Cosi come è stata la lotta degli studenti francesi, anche dura, durata mesi, che ha costretto il governo francese di destra a ritirare la legge favorevole alla precarietà. Allo stesso modo la lotta che stiamo intraprendendo con il 4 novembre si pone l’obiettivo di abrogare la legge 30, la Bossi-Fini e la legge Moratti, per costruire appunto una nuova proposta legislativa.
Per questo ci auguriamo la piena riuscita della manifestazione del 4 novembre e auspichiamo anche il superamento delle polemiche di questi giorni sulla manifestazione. La forza del movimento sta nella sua unità anche nel rispetto delle diversità e del pluralismo. Come ha scritto nell’editoriale di ieri Liberazione, il nostro giornale: “Nei cortei c’è sempre stato spazio per gridare slogan diversi. Il 4 novembre l’unità è contro quelle leggi che alimentano la precarietà, la Bossi-Fini, la legge 30 e la Moratti. Chi vuole ci metta pure la finanziaria”. Mi pare un’indicazione giusta, corretta, ovvia. Mi sembra del tutto ovvio dare la possibilità, il 4 novembre, di manifestare anche contro quelle parti negative della finanziaria come ad esempio la gestione del cuneo fiscale e del TFR, i tagli agli enti locali, il ticket sul pronto soccorso, i tagli alla sanità e alla scuola pubblica, i finanziamenti alle scuole private e le ingenti spese militari. Questo aiuta fra l’altro chi nel parlamento e nel governo si sta battendo per cambiare la finanziaria. Quindi ben venga la lotta e il conflitto sociale. Abbiamo bisogno della massima unità del movimento del 4 novembre ma anche oltre il 4 novembre perché abbiamo bisogno dell’unità non solo dei precari, ma anche dell’unità fra i precari e i lavoratori non precari, rifiutando quindi le divisioni che i padroni stanno fomentando. Sarebbe infatti pericolosissimo, per esempio, accettare uno scambio fra il superamento della legge 30 e una nuova controriforma delle pensioni con l’innalzamento dell’età pensionabile. Significherebbe accettare la divisione dei lavoratori e quindi la premessa di una sconfitta. Anche perché, invece, tutto si tiene. La lotta contro la precarietà significa anche lotta per una pensione certa e dignitosa per tutti; per un salario più equo per tutti e per una distribuzione del reddito dai profitti ai salari; per i diritti degli immigrati e per l’abrogazione della Bossi-Fini e dei Cpt; la lotta contro la precarietà è anche lotta per una scuola pubblica non asservita alle imprese, così come la lotta contro la precarietà è anche lotta contro le privatizzazioni e la mercificazione assoluta in cui ci sta portando la nostra società capitalistica.
Concludo con un augurio personale in tutta sincerità. La manifestazione è giusto che si tenga sugli obiettivi e sulla piattaforma che si è data, io però faccio l’augurio che questa manifestazione sia anche l’inizio non solo di una lotta contro la precarietà, ma anche l’inizio in Italia di un nuovo movimento che abbia un’ispirazione anticapitalista di cui c’è sempre più bisogno.