Controffensiva del governo venezuelano sul fronte mediatico

Hugo Chávez ha dichiarato in televisione: “La miglior difesa è l’attacco!”, ma il comandante Fidel Castro lo ha corretto: “No, la miglior difesa è il contrattacco!”.In entrambi i casi parlava l’esperienza; quella di Chavez passata attraverso una serrata padronale, seguita da una campagna mediatica di destabilizzazione poi sfociata in un tentativo di golpe, e quella di Fidel, passata attraverso centinaia di tentativi d’attentati contro la sua persona e contro la rivoluzione cubana, per 50 anni.Ma nell’esperienza dei due presidenti vi è una differenza che va oltre la sola quantità: il colpo di stato contro Chavez nell’aprile del 2002 è il primo che capita in America Latina nel XXI secolo, ed è il primo al mondo ad essere stato definito da voci diverse (politici, intellettuali, giornalisti) come “golpe mediatico”.I media venezuelani hanno svolto un ruolo cruciale nella pianificazione, preparazione ed esecuzione del golpe contro Chavez, operando come veri centri di cospirazione. Il contrattacco che il governo venezuelano sta portando nel settore della comunicazione sembra nascere proprio da quell’esperienza.A differenza di quanto potrebbe suggerire una lettura rapida e superficiale, il contrattacco non si concentra nell’ambito delle restrizioni o proibizioni ai media privati che sono i più accesi nell’opposizione al governo bolivariano.Di fatto, il 78% delle stazioni TV e VHF sono utilizzati dal settore privato; nella banda UHF l’82% è in mano ai provati. Con la stampa capita lo stesso. L’80% della produzione e circolazione dei messaggi mediatici del Venezuela sono prodotti da corporazioni. Incluso il tanto discusso caso di RCTV; quel canale televisivo non è stato chiuso, continua a trasmettere su frequenze diverse dallo spazio radioelettrico di proprietà dello Stato.Il contrattacco non vuole limitare la libertà d’espressione in Venezuela (nessun dubbio molto superiore a quella esistente in Cile), ma ampliarla fino a farla diventare partecipativa.Tre sono i pilastri di questa strategia rivoluzionaria, non solo in senso politico, ma anche nella sfida che comporta alle esperienze e alle teorie della comunicazione fin qui conosciute, e vedremo perché.- Primo: la nuova carta riconosce la comunicazione come un diritto costituzionale, privato come pubblico;”Si garantisce il segreto e l’inviolabilità delle comunicazioni private in tutte le loro forme” dichiarano l’art. 48 e 58 – quelli che hanno scatenato un’opposizione tenace -“Ciascuno ha diritto all’informazione opportuna, vera ed imparziale senza censura così come diritto di replica”.- Secondo: si stabilisce un appoggio inedito nell’esperienza mondiale alla comunicazione locale e ai media comunitari. La Legge Organica delle Telecomunicazioni (art. 191) impedisce la concentrazione della proprietà e incentiva precisamente lo sviluppo dei media comunitari (radiodiffusione sonora e tv aperta comunitaria).Che differenza con il Cile, il paese in cui stiamo scrivendo! Nel nostro paese non solo siamo asfissiati dalla concentrazione economica e dalla sua conseguente chiusura su qualunque discorso, qui esistono anche ogni tipo di restrizioni all’esperienze di comunicazione alternativa. Per la legge, le radio comunitarie non possono trasmettere pubblicità (a differenza di quelle commerciali), devono rinnovare il permesso ogni 3 anni (a differenza dei 25 per quelle commerciali), la loro capacità di trasmissione deve essere limitata a 1Wattt di potenza (a differenza dei 20 Watt per le commerciali), ecc. In cambio, in Venezuela la concessione per un’emittente comunitarie non è concessa a privati, ma ad una “fondazione comunitaria”, cioè una fondazione plurale e locale che obbliga la comunità ad organizzarsi circa la problematica della comunicazione.- Terzo; ciò che è più sorprendente per la teoria della comunicazione: il regolamento di Radiodiffusione Sonora e Tv Aperta Comunitaria esige che il contenuto, cioè la programmazione di un’emittente comunitaria, sia prodotto per il 70% dalla comunità!La stazione da sola può produrre un massimo di 15-20% della programmazione, per tanto il contenuto deve essere prodotto da volontari della comunità stessa.In questo modo si crea una situazione imprevista da studi ed esperienze classiche di comunicazione: la stessa “audience” si converte in emittente dei suoi media, di fatto per legge è obbligata ad esserlo se vuole che il suo strumento funzioni. Questa idea, secondo la quale chiunque può diventare emittente e nello stesso far parte della comunità dei fruitori, è rivoluzionaria.Tradizionalmente nei media pochi producono messaggi per molti (appunto l’audience) e questi molti sono strutturalmente nell’impossibilità di accedere al polo della produzione dei messaggi, pertanto, della possibilità di influire sul contenuto in modo diretto. Questo è ciò che alcuni autori definiscono asimmetria strutturale o flusso asimettrico. Perciò quest’iniziativa – appoggiata dalla Costituzione – è rivoluzionaria nel vero senso della parola, è nuova e butta gambe all’aria la teoria e le esperienze tradizionali, obbliga la comunità a diventare capace e ad organizzarsi, impedendo che la logica commerciale imponga le sue condizioni ai media.In questo contesto, dal 2000 sono state concesse più di 25 stazioni di TV comunitarie, più di 150 stazioni FM comunitarie, ed altrettante decine di stazioni di TV UHF.E’ il contrattacco al golpe mediatico, cioè la miglior difesa.da www.Rebelion.org