“E’ assurdo pensare che la guerra porti pace. A Bush che ci chiede di inviare altri mille soldati oltre i quattrocento che già ci sono, dobbiamo rispondere richiamando tutti a casa”. Tra le molte e importanti affermazioni contenute nell’intervista rilasciata da Cesare Salvi a Liberazione (un’altra riguarda la sua partecipazione alla manifestazione nazionale del nostro partito il 28 settembre, di cui siamo molto lieti) questa ci appare cruciale. Testimonia la percezione della enormità del rischio rappresentato per il mondo intero dalla politica guerrafondaia degli Usa e la consapevolezza che la questione della guerra e della pace deve costituire, oggi più che mai, la priorità dell’agenda politica delle opposizioni. E’ essenziale che su questa consapevolezza si determini nel paese la più ampia convergenza di forze sociali e politiche e che si riesca a mettere in campo nei prossimi giorni una serie di iniziative di massa in grado di fermare la corsa alle armi guidata dalla Casa Bianca e dai suoi più fedeli alleati.
In questi giorni – sabato a Barletta, l’altroieri a Bologna – mi è capitato di prender parte, insieme a Cesare Salvi, a due dibattiti molto partecipati promossi nel quadro delle Feste di Liberazione. A Bologna c’era anche il Segretario nazionale della Fiom, Gianni Rinaldini. E anche in queste occasioni il tema della guerra è tornato al centro dell’attenzione, evidenziando il comune sentire di questi compagni e delle decine di presenti circa la gravità della situazione internazionale e l’urgenza dell’iniziativa pacifista. E’ vero: questa nuova fase della guerra che gli Usa conducono da dieci anni per imporre il proprio dominio su aree strategiche del pianeta si colloca su uno sfondo non privo di elementi positivi. Bush stenta ad allargare l’alleanza di ferro con Blair. Nel mondo è preponderante lo schieramento avverso all’attacco all’Iraq. E anche in Italia Rifondazione e le altre forze della sinistra di alternativa non sono più sole nel levare alta la propria voce contro la guerra. Ma non c’è da farsi soverchie illusioni.
Non passa giorno senza che Rumsfeld, Cheney, Rice e gli altri falchi dell’amministrazione americana proclamino l’inderogabile necessità di colpire Baghdad, e non si può certo escludere che le fortissime pressioni esercitate dagli Usa sugli alleati determinino qualche significativa defezione nel fronte degli Stati oggi contrari all’intervento. C’è una circostanza che no va mai dimenticata. Iraq è sinonimo di petrolio, e le riserve petrolifere presenti sul territorio statunitense sono sufficienti soltanto per nove anni. Anche un bambino è in grado di capire cosa significhi questo stato di cose ai fini degli sviluppi dell’attuale situazione internazionale. Proprio per questo nessuna voce contraria alla guerra deve mancare, oggi, di chiedere con forza il silenzio delle armi. Dicevamo, per fortuna, Rifondazione e le altre forze della sinistra critica non sono più sole. Pensiamo in particolare alla Cgil, che nel Congresso di Rimini si è, contrariamente al passato, pronunciata contro la guerra. Ci aspettiamo che questo impegno venga onorato nel modo più netto e incisivo. Ci aspettiamo, cioè, che la più grande organizzazione sindacale italiana non esiti a proclamare uno sciopero generale qualora davvero si arrivasse alla guerra.Non è concepibile che un paese che dimostra un grado di reattività politica sufficiente a mettere in campo un grande conflitto sociale sull’articolo 18 non si fermi anche dinanzi all’ennesimo massacro di un popolo inerme, già falcidiato da un embargo criminale, e colpevole solo di calpestare un territorio ricco di risorse energetiche.
L’accenno allo sciopero generale ci porta a un’ultima considerazione. Siamo ormai alle porte di una straordinaria stagione di lotte. Sabato la manifestazione sulla giustizia, quindi la nostra manifestazione nazionale del 28, verso la fine di ottobre il nuovo sciopero generale indetto dalla Cgil, poi le lotte per i contratti, il Forum sociale europeo, le mobilitazioni legate ai nostri referendum e alla prossima tornata di elezioni amministrative: tutti questi appuntamenti richiedono il massimo di iniziativa da parte nostra e di tutti i compagni. Nella consapevolezza che – come recitava una delle nostre più belle parole di lotta – vincere si può. Si può, a patto che la si smetta di discutere di formule organizzative e si parta dagli obiettivi politici concreti sulla base di un preciso presupposto. Non si vince inseguendo la destra nelle sue scelte conservatrici e antipopolari, bensì difendendo con intransigenza gli interessi del lavoro e delle masse subalterne; cioè del popolo della sinistra.