Ieri c’è stato un primo incontro informale, «una presa di contatto», fra i sindacati e il ministro della funzione pubblica, Luigi Nicolais. Fra i temi sul piatto il rinnovo del contratto di lavoro, come ricorda Carlo Podda, segretario generale della Funzione pubblica Cgil in questa intervista.
Sei stato tra i primi a lanciare l’allarme sul rinnovo del contratto dei pubblici dipendenti, già pochi giorni dopo la formazione del nuovo governo. Come mai tanta fretta?
Penso che i cittadini italiani, non solo quelli coinvolti nel rinnovo dei contratti pubblici, si aspettino che la pubblica amministrazione e i servizi riprendano a funzionare a un livello adeguato. Per fare questo c’è bisogno non di demotivare o di maltrattare i lavoratori pubblici, come è stato fatto negli ultimi cinque anni con un governo che aveva fatto delle diseguaglianze uno dei suoi obiettivi, ma al contrario di un sistema dei servizi pubblici funzionante. Per averlo occorre investire. Se si pensa che si possa cominciare non rinnovando i contratti o non prendendo in considerazione l’idea e l’urgenza di stabilizzare il lavoro precario, che ormai è di diverse centinaia di migliaia di unità, ma rendendo precari anche i servizi, se si pensa che si possa escludere i lavoratori pubblici anche da una eventuale manovra di alleggerimento del fisco sui salari del lavoro dipendente, questo sarebbe esattamente il contrario di quello che volevano le persone che hanno votato per il centrosinistra. Siamo tutti consapevoli che le condizioni della finanza pubblica sono quelle che sono e tuttavia i temi non possono essere derubricati e cancellati. Non si può far finta che il tema del rinnovo del contratto dei lavoratori non ci sia o far finta che non ci siano i precari nel lavoro pubblico. Bisogna che questi problemi vengano presi in carico dal governo e che si predisponga ad affrontarli in un negoziato con le organizzazioni sindacali.
Quarantamila precari sono a rischio già da quest’anno..
Sono a rischio per le misure contenute nell’ultima finanziaria di Berlusconi e Tremonti che, riconducendo le risorse disponbili per loro a livelli del 2004, hanno di fatto decretato la loro espulsione già dal mese di giugno. Questa situazione renderà evidente a tutti i precari della pubblica amministrazione che la stabilizzazione è un obiettivo irraggiungibile e che il loro problema dovrà essere affrontato radicalmente. A quel punto il sindacato avrà due scelte: o arrivare in ritardo su un movimento che parte da solo, come è successo in Francia, oppure decidere responsabilmente di assumerlo e di cercare di rappresentarlo nella grande molteplicità di soggetti che ci sono. Per questo ho anche personalmente promosso un appello che è alla base di una manifestazione contro la precarietà e contro le leggi vergogna del governo Berlusconi a Roma il prossimo otto luglio. Manifestazione e assemblea nazionale che si pongono l’obiettivo di una grande manifestazione nell’autunno.
Però Nicola Rossi, Ds come il ministro Nicolais, suggerisce 100mila prepensionamenti per abbassare la spesa pubblica. Tu cosa rispondi?
Che prima di dire certe cose una persona, e specialmente un professore come Rossi, avrebbe l’obbligo di documentarsi. Su quali basi indica questo numero? Perché allora non 90mila o 120mila? Le analisi macroeconomiche dicono che siamo nella media europea, per certi aspetti anche sotto. Al contrario dovremmo avere il coraggio di dire che non esiste più un’unica pubblica amministrazione, ma tanti settori. Allora dovremmo fare per ciascuno di questi un’analisi e solo dopo dire se manca personale o è in eccedenza. Va bene porsi il problema di assumere i giovani, ma io dico allora di stabilizzare i 30mila precari.
Come ha detto Epifani, sul cuneo fiscale c’è stata una gran confusione.
Il cuneo fiscale è stato all’origine di molti fraintendimenti nel corso della campagna elettorale. Per quanto mi riguarda preferisco parlare di un’altra cosa e cioè della busta paga del lavoratore. Ci sono due numeri che ciascun lavoratore è in grado di vedere: uno è quello che parla del salario netto e l’altro parla del salario lordo. Il primo deve aumentare, il secondo diminuire. In pratica, devono diminuire le tasse che gravano sul lavoro. Avevamo una promessa di riduzione del drenaggio fiscale nel 2001, ovviamente cancellata dal governo Berlusconi. Vorrei sapere se questo tema è ancora in campo. E trovo abbastanza divertente, per usare un eufemismo, che Confindustria, sempre così pronta nel reclamare la selettività nella spesa per i contratti pubblici, quando poi parla di cuneo fiscale avanza la richiesta di dare qualcosa a tutti. A pioggia, indipendentemente da tutto il resto. Se passasse questa impostazione ci troveremmo di fronte a un bel problema, perché a quel punto tutto il lavoro privato avrebbe una diminuzione del carico fiscale e tutto il lavoro pubblico ne sarebbe escluso. Non si può dire che chi governa non conosca il nostro punto di vista. Se deciderà di affrontare queste questioni troverà un sindacato pronto a negoziare, consapevole dei diritti di chi rappresenta e del contesto generale. Se invece il governo intendesse eludere questo tema, siccome il sindacato non può andare in vacanza, saremo pronti a fare la nostra parte.
Sul piano delle relazioni sindacali si sta profilando una strana situazione, con un titolare di fatto, Padoa-Schioppa, e un titolare di diritto, Prodi. Tu cosa vedi all’orizzonte?
Arrivano segnali contrastanti, con il presidente del Consiglio che dice di voler seguire la concertazione e un ministro dell’economia che invece parla di relazioni sindacali basate sull’ascolto. Una relazione tra le parti è basata su tutt’altro. Nel primo incontro a palazzo Chigi si è parlato di malintesi. Credo che al di là di tutto conteranno i fatti, già dai contenuti del Dpef. L’unica cosa che temo è che questo governo, già molto composito al suo interno, possa cadere nella tentazione di pensare che la mediazione si risolva al suo interno. Se così fosse sarebbe un problema serio.