Conto alla rovescia

“Una circolare del governo avvisa che bisogna essere pronti a tutto. Sono arrivati dei fax dal ministero dell’Informazione che ci comunicano una specie di decalogo comportamentale su cosa dire e come dirlo. E alla fine, ma proprio alla fine, dobbiamo essere pronti a far sapere che il governo, per salvare l’interesse nazionale, sospende il programma nucleare. Solo che allora potrebbe essere troppo tardi”.

L’attesa. Questo è quello che racconta da Teheran, con la voce preoccupata, una fonte che lavora per il governo e che chiede di restare anonima. La tensione in Iran è alle stelle, e la popolazione vive con angoscia le ultime ore. Tutto, ma proprio tutto, sembra parlare di guerra. “Sembra di vivere gli anni della rivoluzione”, continua, “o peggio ancora della guerra con l’Iraq. La gente ha paura di tutto: di chi è pronto alla guerra per mostrare i muscoli e di chi è pronto a farla per i suoi interessi”. Oggi a Londra si riuniscono i ‘mediatori’ sul programma nucleare iraniano, ma il rapporto presentato venerdì dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) non lascia presagire nulla di buono. Il documento è il più duro possibile: l’Iran non ha rispettato la richiesta della comunità internazionale e, in barba alle sanzioni, non solo ha continuato sulla strada dello sviluppo del suo programma ma ha addirittura implementato l’installazione di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Nessuna prova che il governo di Teheran stia costruendo ordigni atomici, per i quali comunque sarebbe necessario molto tempo ancora, ma l’Aiea sottolinea come non ci sia stata nessuna volontà di collaborare da parte del governo di Teheran. Sono lontani i tempi in cui l’Aiea definiva “scandaloso” un documento dell’intelligence Usa che accusava Teheran di prepararsi alla costruzione della bomba atomica. Era il settembre 2006, adesso molte cose sono cambiate.

Agenzia per conto di chi? Al punto che la stampa indipendente iraniana ha rilanciato le dichiarazioni di Stephen G. Rademaker, fino al dicembre scorso segretario con delega al Trattato di non Profilerazione Nucleare del Dipartimento di Stato Usa, in un incontro ufficiale in India, nel quale il funzionario del governo di Washington affermava che il voto dell’India rispetto alle sanzioni all’Iran era stato praticamente estorto. Nonostante le pronte smentite, il cambio di atteggiamento della stessa Aiea verso l’Iran è parso evidente. Il governo di Teheran, da par suo, non fa nulla per far calare la tensione e anzi sembra fare il gioco ci chi, come il vice presidente Usa Dick Cheney, durante la sua visita ufficiale in Australia, “non esclude nessuna opzione sul tavolo”, quindi anche quella bellica. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad non si fa pregare e dichiara che nulla potrà fermare il programma nucleare iraniano, anche la guerra, per la quale ritiene pronto il suo Paese. Nonostante la popolazione civile la pensi in modo diametralmente opposto, come dimostrato dalla batosta elettorale delle elezioni amministrative di dicembre scorso subita dallo schieramento del Presidente.

Stretta finale? La sensazione è che un meccanismo sia scattato da tempo, con una brutale accelerazione negli ultimi mesi. Il governo degli Stati Uniti, da gennaio a questa parte, ha sempre più stretto la morsa attorno all’Iran. Battendo sul tasto del coinvolgimento iraniano in Iraq, argomento noto dal 2003, ma che all’improvviso è diventato il principale fattore per spiegare il fallimento dell’avventura in Mesopotamia. Prima le accuse, poi l’arresto di alcuni diplomatici iraniani in Iraq e infine il ritrovamento di armi riconducibili a Teheran. Anche ieri, nel corso di un’operazione a Baquba, il comando militare Usa in Iraq ha fatto sapere di aver trovato componenti per la fabbricazione di ordigni micidiali, assieme a proiettili di mortaio di fabbricazione iraniana. Teheran ha smentito qualsiasi coinvolgimento, ma negli ultimi giorni le truppe Usa hanno arrestato anche il figlio di Abdul Aziz al-Hakim, leader dello Sciri, il Supremo consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq, principale partito sciita iracheno e filo-iraniano, che dal 2003 a oggi è sempre stato ritenuto una sorta di alleato degli Usa, almeno per i comuni interessi anti-Saddam.

Focolai a pagamento. Come se non bastasse l’affondo internazionale, con la condanna dell’Aiea e le sanzioni dell’Onu, e quello iracheno, con le accuse e la cattura di uomini vicini all’Iran in Iraq, sembra che la strategia Usa di accerchiamento a Teheran preveda anche un affondo sul fronte interno. Il 16 febbraio scorso, a Zahedan, capoluogo della provincia iraniana del Sistan-Baluchistan, al confine con il Pakistan, un’autobomba esplode al passaggio di un autobus carico di pasdaran uccidendone 11. I pasdaran, milizia religiosa di volontari, sono il simbolo stesso della rivoluzione islamica in Iran, ed è dalle loro fila che proviene lo stesso Ahmadinejad. Il governo, anche in base alla confessione di una persona catturata poco dopo, attribuisce l’attentato al gruppo sunnita Jundallah, ‘l’esercito di Dio’, che da tempo si oppone al governo centrale iraniano basando le sue rivendicazioni sullo strapotere della maggioranza sciita e persiana del potere. Il governo di Teheran, con un comunicato televisivo, si affretta a tranquillizzare la minoranza araba e sunnita in Iran, ma accusa gli Stati Uniti di finanziare il gruppo per destabilizzare il governo. E non solo gli arabi sunniti, ma anche i curdi.

Un elicottero militare iraniano è caduto due giorni fa vicino a Khoi, non lontano dalla frontiera con la Turchia, in combattimenti con separatisti curdi: sono morti 12 soldati e due generali. Lo ha reso noto il gruppo ribelle curdo Pejak, un’organizzazione vicina al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) turco. E da tempo i curdi sono alleati degli Usa, almeno in Iraq. Ma tutto il 2006 è stato caratterizzato da una serie di più o meno grandi incidenti che hanno visto protagoniste le minoranze in Iran: azeri, arabi, baluci e così via. La tattica del finanziamento delle minoranze per destabilizzare il regime degli ayatollah è la teoria riportata oggi in un articolo del settimanale britannico Sunday Telegraph, secondo cui la Cia finanzia a pioggia tutti i gruppi ostili al governo iraniano e, ancora secondo la stampa britannica, il governo di Londra è sempre più preoccupato dal fatto che gli Stati Uniti abbiano praticamente già deciso l’attacco all’Iran. Come dargli torto? Non sembra indicare nulla di diverso, per esempio, il fatto che che gli Usa hanno rinforzato la loro presenza militare nel Golfo Persico.