«Conti in regola», ordina la Bce all’Italia

E’ un giudizio positivo sulle premesse e sulle promesse di riduzione del disavanzo ma con più di un pesante sospetto in merito al loro effettivo mantenimento. Nelle 75 pagine dell’edizione di settembre del bollettino mensile della Banca centrale europea, diffuso ieri, l’Italia viene citata tre volte, tutte nella sezione finale dedicata alla finanza pubblica. Anzitutto da Francoforte ci viene ricordato come il nostro paese sia nel novero di quelli sottoposti alle procedure per disavanzi eccessivi, ossia troppo vicini o – come nel nostro caso – ben oltre la soglia del 3% del pil. Siamo in buona compagnia, insieme a Germania, Grecia, Francia e Portogallo.
In secondo luogo il bollettino descrive la situazione attuale. Il disavanzo atteso per il 2006 è pari al 4% del pil: nonostante il forte aumento delle entrate fiscali generate negli ultimi mesi dalla congiuntura più favorevole e da un minimo di recupero dell’evasione fiscale, la Bce denuncia l’assenza di una «correzione strutturale» che dovrebbe intaccare il disavanzo in una misura pari almeno allo 0.8% del pil.
L’ultima menzione dedicata all’Italia riguarda il «che fare»: occorre ridurre il disavanzo almeno al 3% entro il 2007 attraverso «l’attuazione di significative misure supplementari», senza consigli su quali dovranno essere. Nel bollettino si riconosce la buona volontà del governo ma al tempo stesso viene lanciato un ammonimento: se le misure adottate si riveleranno insufficienti rispetto agli impegni presi verranno adottati «ulteriori provvedimenti nell’ambito della procedura per disavanzi eccessivi» per violazione del patto di stabilità.
Con riferimento agli altri quattro paesi incriminati, il quadro presentato da Francoforte è vario. La Germania viene sostanzialmente promossa perché dovrebbe riuscire in anticipo a contenere il disavanzo al di sotto del 3% già nel 2006. Lo stesso vale per la Grecia, che però ha ancora qualche conto in sospeso per via dei dati contabili taroccati che spesso trasmette agli organismi comunitari. La Francia viene quasi promossa, e viene invitata a contenere la spesa sanitaria e quella degli enti locali. Il Portogallo, dove invece il disavanzo 2006 è previsto al 4,6% del pil, viene duramente criticato per i modesti risultati fin qui ottenuti: gli si da tempo fino al 2008 per mettere i conti a posto.
A ben vedere, nel bollettino della Bce non si parla di pensioni, o meglio non si parla di pensioni con esplicito riferimento a qualche paese in particolare, tanto meno all’Italia. La riforma dei sistemi previdenziali viene indicata infatti fra gli obiettivi di medio e lungo termine da conseguire nei paesi dell’area dell’euro, approfittando della favorevole congiuntura economica. La Bce indica la necessità di impostare la riforma a partire dal 2007, in un quadro però compatibile col miglioramento degli incentivi all’occupazione, agli investimenti e all’innovazione. In chiave liberista, si sottintende.
La Bce dedica ovviamente molto spazio alla sua analisi della congiuntura Ue. L’ondata di ottimismo diffusa in queste settimane a piene mani da Bruxelles, dall’Ocse e, pur con qualche distinguo, dal Fondo monetario internazionale, viene sostanzialmente condivisa dalla banca centrale: «l’espansione economica si sta diffondendo e rafforzando». Secondo le stime, che includono per la prima volta anche la Slovenia, il prodotto interno lordo crescerà in media fra il 2.2% e il 2.8% nel 2006, e dovrebbe assestarsi fra l’1.6% e il 2.6% nel 2007. Entrambe le previsioni sono state riviste al rialzo rispetto a quelle formulate a giugno.
Gli allarmi profusi dalla Bce nei mesi scorsi in merito alla ripresa dell’inflazione si sono sgonfiati negli ultimi mesi dopo che Eurostat ha segnalato il recente rallentamento della crescita media dei prezzi nei paesi dell’Unione: adesso gli economisti di Francoforte si limitano a sottolineare la possibilità di rischi elevati legati a ulteriori rincari del petrolio. Quanto basta comunque per elargire le solite raccomandazioni: moderazione salariale e «senso di responsabilità» delle parti sociali. Il quadro dipinto, fatto di crescita e di rischio inflazione, serve anche a confermare l’orientamento restrittivo della politica monetaria: l’allusione ad ulteriori aumenti del tasso di interesse di riferimento, dopo l’ultima manovra che all’inizio di agosto lo aveva portato al 3%, appare esplicita.