Contaminare ed essere contaminati

Certo il dibattito precongressuale, ovvero un’attenta analisi di fase e la riflessione circa le meraviglie del movimento o le sue presunte inadeguatezze, avrebbe potuto essere aperto senza dare l’idea al corpo di una testa litigiosa che pratica il con me o contro di me. Pensiamo che le accuse durissime mosse nei confronti di alcuni compagni debbano essere chiarite, esplicitate e possibilmente in fretta, troppa è l’eco tra gli iscritti e i militanti provocata dai macigni scagliati dalle colonne di Liberazione. Ma tant’è e ne prendiamo atto. A queste domande chiediamo delle risposte pacate e chiare negli organismi dirigenti e successivamente sul quotidiano del partito. Dopo le poche righe sul metodo vorremmo entrare nel merito delle questioni assolutamente rilevanti e in questa fase anche fondanti circa il ruolo del partito e della sua internità al movimento dei movimenti. Ci sembra che si possa concordare nel considerare lo sciopero dei meccanici e il movimento antiglobal quali fenomeni di disgelo che tanto abbiamo sollecitato e che alla fine sono arrivati, certi che essi possano essere di diritto inseriti nella categoria che Samir Amin definì come “tentativi di sganciamento” nel corso del convegno parigino sui 150 anni del Manifesto del Partito comunista. Non si può non essere d’accordo che la saldatura tra questi due mondi sia il nodo principale da cui ripartire. Detto questo e preso atto del lavoro formidabile di tutto il partito dal segretario all’ultimo degli iscritti (in ordine di tempo ovviamente) per la riuscita delle mobilitazioni dei meccanici e per la costruzione di un Social Forum in ogni città, il partito deve ragionare sul ruolo che intende svolgere in questa fase.

La questione lavoro.
Se è vero come è vero che la Fiom ha invitato sui suoi palchi esponenti del Social Forum dimostrando non l’attenzione che sarebbe puerile, bensì di aver compreso l’importanza e la connessione stretta tra le istanze del movimento e quelle immediate dei lavoratori (contratto, democrazia sui luoghi di produzione, boicottaggi, orari ecc.), bisognerebbe indagare (procedere domandando) non per rompere, ma per incidere meglio, in che modo e se gli altri soggetti che formano il movimento antiglobal ricambiano l’attenzione o se considerino per taluni versi la contraddizione capitale-lavoro come sorpassata, uccisa dal postfordismo, dal toyotismo e dalle teorie del non-lavoro. E ancora: la Fiom, come dicevamo, ha compreso e alcuni Forum sociali hanno elaborato piattaforme assolutamente di altissimo profilo sulle tematiche del lavoro per tutti, del salario garantito, del salario differito. Ma i lavoratori e le lavoratrici, il nuovo proletariato nel senso che Walter Benjamin ha dato al termine, stanno partecipando o stanno subendo passivamente la discussione tra i vertici della Fiom, i leader del movimento, i dirigenti di Rifondazione? Come possiamo continuare, o meglio non vanificare la voglia di fare politica a volte ancora inespressa e primitiva dei giovani meccanici che hanno portato nelle piazze modi nuovi connettendola con il fragore del movimento? Come decliniamo quell’opera di scomposizione e ricomposizione di cui si parla ad ogni Cpn, ma che poi non si pratica?

Il problema centrale.
Questi interrogativi sono chiaramente connessi con le modalità della nostra presenza dentro il movimento. Pensiamo che Rifondazione debba contaminare e “meticciare” il movimento con i temi di cui sopra, senza subalternità, non tanto o non solo facendoli inserire nei documenti, ma giocandoli come carichi nelle attività quotidiane dei forum. Bertinotti stesso, nel numero del manifesto del 12 agosto, sostiene che la saldatura tra i nuovi metalmeccanici e il movimento sia il problema e non uno dei problemi, lanciando l’idea dell giunture del lavoro precario, aggiunge fortunatamente nel dibattito scomposto all’interno dei gruppi dirigenti un elemento nuovo che tutti dovremo cogliere. Nelle discussioni di settembre dovremo portare i contenuti di quel “balzo della tigre” che teorizzammo a Livorno quando dicemmo «dobbiamo riaprire il conflitto di classe e farvi partecipare i nuovi soggetti: il popolo di Seattle, i giovani, le donne…». L’aspetto caratterizzante del movimento, se proprio non possiamo fare a meno di trovarne uno è la sua eterogeneità generazionale; è composto da giovani cresciuti in pieno periodo di esaltazione del pensiero unico che trovano nelle piazze compagne e compagni che da decenni non partecipavano e questo fa sperare che gli accadimenti non siano un fuoco di paglia o una scimmiottatura del ’68. Dobbiamo parlare a questi giovani della nostra storia grandiosa e tragica partendo da Marx e dalla sua concezione del lavoro ricco, non come «orrenda necessità, ma come libera manifestazione dell’attività umana», confrontarci se e come sia possibile oltrepassare la dicotomia lavoro-ambiente imposta dal capitale, questo sarà un bel modo di stare dentro.

P.S. – Avremo al termine dell’estate oltre al lavoro istituzionale, dal Parlamento al più piccolo dei comuni, il compito di organizzare o concorrere all’organizzazione di tre manifestazioni, è ovvio che non ci si debba fare schiacciare da logiche militaresche che ci riporterebbero indietro di anni, ma che soprattutto ci leverebbero la forza dirompente o formidabile del pacifismo come pensiamo sia altrettanto ovvio che i compagni che stanno chiedendo un minimo di sicurezza non debbano essere accusati di “carrismo” o peggio.