A guardare la spesa per i consumi si ha la conferma che l’Italia è un paese ricco: ogni famiglia spende in media 2.478 euro al mese. Non è poco. Ma dietro la media si nasconde una realtà diversa: c’è Italia e Italia e dietro le cifre di un apparente benessere si cela una indigenza diffusa.
L’indagine diffusa ieri dall’Istat sui consumi delle famiglie italiane nel 2005 conferma in pieno i dati comunicati alcuni mesi fa sulla crescita zero del pil e sul ristagno dell’economia. A leggerli sembrerebbe che lo scorso anno i consumi siano aumentati, ma il +0,7% sul 2004 è una illusione: i consumi sono calcolati a valori correnti. Visto che l’inflazione nel 2005 (secondo i dati Istat) è cresciuta dell’1,9%, significa che in termini reali i consumi sono diminuiti di almeno un punto percentuale. Trattandosi di una indagine campionaria con margini di errore, l’Istat evita di fornire questo dato, ma la realtà è questa. E quando i consumi ristagnano o diminuiscono è sicuro che a perdere sono le persone a reddito fisso.
Ricapitolando: nel 2005 la spesa media mensile delle famiglie italiane è stata di 2.398 euro. Ma questa cifra non vale per tutte le famiglie. Al Nord se la passano decisamente meglio: la spesa media risulta di 2.689 euro, quaso 300 euro al mese sopra la media. Non va male neanche per le famiglie dell’Italia centrale, anche loro sopra la media: la loro spesa mensile, infatti, è di 2.478 euro. Va malissimo, invece, per le famiglie del Sud: nel 2005 hanno speso mensilmente 1.913 euro, quasi 500 euro in meno della spesa media, con una differenza di quasi 800 euro rispetto ai nuclei familiari del Nord. Ma anche al Nord non è che la spesa sia omogenea visto che le famiglie della ricca Lombardia consumano mediamente per 2.872 euro che arrivano a 3.299 per le famiglie della provincia di Bolzano.
Il territorio, insomma, fa la prima differenza e conferma che c’è Italia e Italia. La seconda differenza la fa, la professione del capofamiglia. L’Istat non fornisce dati disaggregati a livello territoriale, ma anche dal dato aggregato nazionale emergono differenze enormi. La famiglia con la cui persona di riferimento (il capofamiglia, per intenderci meglio) è un imprenditore o un libero professionista spende ogni mese per consumi 3.657 euro; se la persona di riferimento è un dirigente o un impigato la spesa scende a 2.933 euro; gli autonomi spendono 2.871 euro al mese; gli operai e gli assimilati 2.362; i «ritirati dal lavoro» (pensionati) 2.038; le famiglie in altra condizione professionale (disoccupati, casalinghe) appena 1.762 euro.
Nel computo del reddito speso l’Istat comprende anche gli affitti pagati (sono il 18,8% le famiglie che hanno un padrone di casa), mentre per chi è proprietario della casa in cui vive o ha un abitazione a titolo diverso dell’affitto, si stima una affitto figurativo. Nel primo caso la locazione media ammonta a 308 euro, cifra sulla quale milioni di italiani ci metterebbero la firma. Tra le famiglie che vivono in abitazioni di proprietà (il 72% del totale) il 13,3% paga un mutuo. Le rate di mutuo statisticamente non sono spesa per consumi, ma l’Istat ci dice che mediamente la rata per 2,232 milioni di famiglie ammonta a 438 euro.
Dei quasi 2.400 euro di spesa mensile, il 25,8% (19% 20 anni fa) è assorbita dalle spese per la casa (619 euro al mese) mentre per mangiare si spendono 456 euro, il 19% del totale. Solo 20 anni fa la spesa per l’alimentazione era il 29% del totale. La percentuale scende al 14,5% per gli imprenditori (ma non è che mangino meno, visto che in cifra assoluta spendono di più) e oltrettutto vanno spesso al ristorante. Le persone meno benestanti, ovviamente spendono per mangiare una percentule maggiore (tra il 20 e il 22%) anche se spendono meno dei «ricchi».
Un ultima differenza tra gli italiani interessa l’ampiezza del nucleo familiare: la spesa, ovviamente, cresce con il crescere dei componenti, anche se non in proporzione. Ma le famiglie con 5 o più componenti spendono «curiosamente» meno di quelle con quattro componenti: non si tratta di un errore statistico, ma del fatto che le famiglie numerose (per lo più povere) sono localizzate al Sud. Infine c’è da segnalare che nel 2005 si è speso meno per la salute.