Congresso Usa, il conflitto sugli aiuti condanna a morte lo Zambia

Entro qualche settimana, nello Zambia, circa mezzo milione di persone potrebbero smettere di ricevere le razioni alimentari delle Nazioni Unite e andare incontro alla morte per inedia. Lo sostiene il World Food Program che, in febbraio, ha lanciato un appello per raccogliere donazioni da investire nell’acquisto dei cereali stoccati nei granai di Lusaka, capitale del piccolo paese africano. Il problema è che secondo la legge statunitense gli aiuti alimentari destinati ai paesi poveri debbono essere comprati dagli agricoltori americani e trasportati con navi americane governate da ciurme americane – un percorso costoso in termini di soldi e di tempo, visto che ci vogliono almeno sei mesi perché le razioni d’emergenza arrivino a destinazione. Ma, anche se se ne parla di rado, la filiera degli aiuti alimentari ha un ritorno economico consistente di cui è ben consapevole la lobby che, da circa tre anni, fa di tutto per bloccare la riforma della normativa.
Ebbene sì, questa volta l’amministrazione Bush aveva partorito un’idea decente: cambiare la legge per consentire che almeno un quarto del budget destinato ai programmi di aiuto alimentare sia utilizzato per comperare i prodotti sui mercati locali. In questo modo si potrebbero rendere più efficienti gli interventi e, contemporaneamente, evitare che i programmi sussidiati con i soldi dei contribuenti e dei privati vengano utilizzati per fare dumping, ovvero per abbattere i prezzi e invadere i mercati locali con le eccedenze dell’agrobusiness, magari proprio quei raccolti transgenici che giacciono invenduti nei silos delle corporation. Secondo la United States Agency for International Development, modificando la legge si potrebbero nutrire un milione di persone in più ogni anno con gli stessi soldi e con maggiore tempismo, considerazioni che non hanno però ammorbidito l’opposizione della lobby cresciuta intorno al business degli aiuti che blocca il passaggio della riforma grazie a un blocco di congressisti perfettamente bipartisan.
Per rendersi conto di quanto possa essere potente questa lobby facciamo un paio di conti. Negli ultimi tre anni appena quattro compagnie dell’agrobusiness – Archer Daniels Midland, Cargill, Bunge e Cal Western Packaging Corporation – hanno venduto al governo americano circa la metà degli aiuti del Food for Peace, il più grande programma alimentare Usa, per una cifra che si aggira sul miliardo di dollari (l’intero programma ne costa due). Nel frattempo le compagnie navali venivano pagate – sempre dal governo – circa 1,3 miliardi di dollari per trasportare oltreoceano i prodotti agricoli mentre le organizzazioni nonprofit ricevevano aiuti alimentari per un valore di circa 500 milioni di dollari, aiuti rivenduti a prezzo di mercato nei paesi in via di sviluppo per raccogliere i fondi da destinare ai programmi anti-povertà. Agrobusiness e industria dei trasporti si oppongono vigorosamente alla modifica della legge insinuando che, inviando denaro invece di cibo, aumenterebbero immediatamente le possibilità di furti con la conseguenza di rendere più diffidenti i donatori. Inutile dire che gli attivisti nonprofit sono particolarmente sensibili al rischio che la generosità privata venga raffreddata da questo tipo di insinuazioni.
Resta il fatto che la situazione dello Zambia è gravissima anche se, rispetto al resto dell’Africa, è una piccola oasi di democrazia e trasparenza. Ma Aids e siccità si sono accaniti sul paese e oggi, su una popolazione di 11 milioni di persone, ci sono un milione di orfani che sopravvivono solo grazie alle razioni delle Nazioni Unite, insieme a un esercito di adulti ammalati che non sono più in grado di lavorare. Così lo Zambia dipende in larga misura dagli aiuti del World Food Program che, da qualche anno, è diventato il maggior acquirente dei cereali acquistati dalla Food Riserve Agency del governo di Lusaka. A sua volta, l’Agenzia pubblica si rifornisce dalle cooperative e dai sindacati agricoli proprio per aiutare i piccoli agricoltori a rientrare nel mercato dopo le devastanti carestie degli anni passati.